San Martino di Franco D. Lalli

Post Ivana Fiordigigli.







San Martino
di Franco Dino Lalli


Affresco e storie di San Martino – La divisione del mantello, cm. 265 x 230, Chiesa Inferiore di San Francesco, Cappella di San Martino, Assisi. (Affresco di Simone Martini)


La prima decade del mese di novembre è caratterizzata dal periodo indicato come l’estate di San Martino “l’estate di San Martino dura tre giorni e un pochino”, periodo di ritorno del bel tempo e denso di tradizioni popolari che ricordano il Santo. L’11 novembre, data della sua morte, si festeggia con la degustazione del vino novello insieme alle caldarroste.

San Martino nacque a Sabaria, cittadina della Pannonia inferiore, l’attuale Szombathely, ai confini dell’Ungheria con l’Austria. La data della nascita si fa riferire fra il 316 e il 317.

Essendo i genitori pagani gli fu assegnato il nome Martino, ovvero “dedicato a Marte”, e fu educato nel paganesimo a Pavia in cui dopo l’incontro con alcuni cristiani, a dodici anni, chiese di esser accolto fra i catecumeni. Dovette aspettare però circa sei anni prima di ricevere il battesimo.

Essendo figlio di veterani dell’esercito romano anch’egli entrò nell‘esercito e divenne circitor, cioè chi era predisposto alla ronda e alla sorveglianza notturna delle truppe. Fu proprio durante una di queste perlustrazioni che avvenne la famosa leggenda del mantello. Martino infatti incontrò, sulla porta della città di Amiens, in Francia, un pover’uomo che tremava di freddo e che chiedeva inutilmente aiuto ai passanti. Avendo sacrificato tutto ciò che possedeva e, rimastogli soltanto la clamide di cui era vestito, la divise con la sua spada a metà e la donò. Nottetempo, mentre dormiva, ebbe la visione di Cristo che era vestito della parte del suo mantello e che, rivolto agli angeli, esaltava il dono.

Secondo una versione diversa, il Santo, dopo aver offerto parte del suo mantello al mendicante, ne incontrò un secondo al quale offrì la parte mancante del suo mantello e restò senza alcuna protezione. Così, per onorare il suo sacrificio, il tempo si rasserenò e divenne più mite. Questo fenomeno, comunque, è solito avverarsi in autunno in cui ai primi freddi invernali seguono, per un breve periodo, bel tempo e temperature più miti

All’incirca tra il 334 e il 338, Martino decise di abbandonare la carriera militare e dedicarsi alla vita eremitica.

Dopo il congedo si avviò verso Poitiers dove il vescovo gli offrì la carica di diacono, ma lui decise di accettare solo la carica di esorcista. Subito dopo si recò a Milano e poi in Pannonia, dove convertì la madre, poi nei Balcani, nell’Illirico e ancora a Milano predicando contro l’arianesimo. Decise di stabilirsi in un eremo vicino a Milano, ma fu cacciato dal vescovo ariano Aussenzio e così decise di ritirarsi nell’isoletta ligure di Gallinaria come un eremita egizio, cibandosi solo di radici.

Successivamente si recò in Gallia dove preferì ritirarsi nella vita eremitica in una villa nei pressi di Ligugé dove fu presto raggiunto da molti discepoli e con essi cercò di evangelizzare le campagne vicine contro il paganesimo ivi imperante.

Qui, una decina di anni, sostò compiendo molti miracoli, resuscitò due morti, un catecumeno e uno schiavo suicida e così fu popolare come santo taumaturgo.

Nel 371 i cittadini di Tours decisero di eleggerlo vescovo, ma lui rifiutò perché preferiva la vita eremitica. Si ricorse ad un sotterfugio. Un cittadino si recò da lui con la scusa di guarire sua moglie. Sulla strada Martino, con un’imboscata, fu catturato e, condotto a Tours, fu acclamato vescovo. Andò ad abitare in una casupola vicino la chiesa, ma decise di recarsi di nuovo in un eremo, in quanto importunato da troppe visite di curiosi. Nel 375 si trasferì in un eremo a due miglia di Tours dove fondò il monastero di Marmoutier che fu un vivaio di monaci e di vescovi. Martino abitava in una cella di legno come gli altri monaci anche se molti di loro preferivano grotte in montagna. La vita che si conduceva era una vita ascetica, basata sulla preghiera come il monachesimo siriaco ma con la differenza da quello egiziano che i monaci non vivevano del loro lavoro. Mettevano il loro beni in comune astenendosi dal bere, i giovani si dedicavano a fare i copisti e gli anziani si dedicavano alla preghiera. Martino si recava spesso nelle campagne vicine per evangelizzare, esorcizzare gli ossesi e sanare i malati. Si moltiplicarono numerosi miracoli e prodigi. Un giorno, in un paese vicino, fece demolire un tempio pagano e, mentre stava per far abbattere anche un pino sacro, che era di presso, i pagani che non erano affatto d’accordo gli proposero una sfida: se l’albero fosse caduto dalla parte di Martino e lui si fosse salvato avrebbero accettato l’abbattimento. L’albero fu abbattuto e crollò dalla parte opposta.

San Martino possedeva anche capacità divinatorie ed era capace di smascherare il diavolo che si presentò un giorno in sembianze di Cristo ingioiellato, ma egli riuscì a smascherarlo e il diavolo sparì in una nuvola di fumo lasciando soltanto il puzzo di un odore sulfureo.

Martino era anche un protettore degli umili e dei deboli, capace anche di affrontare i magistrati e persino l’imperatore. In un viaggio a Treviri per incontrare Valentiniano (imperatore romano dal 364 al 375) che si rifiutava di incontrarlo. Martino, però, penetrò nel suo palazzo e, di fronte a lui che sgarbatamente nemmeno gli rivolse la parola, all’improvviso si vide il trono prendere fuoco e l’imperatore, alzatosi di scatto, comprese che tutto era un segno divino e dovette accogliere le richieste del Santo.

Nell’autunno del 397 si recò nella parrocchia rurale di Condate (oggi Candes – Saint Martin, Francia) dove cercò di riappacificare i chierici, ma, mentre stava per tornare a Tours si ammalò. Aveva circa ottant’anni. Sentendosi morire si fece distendere su un cilicio e su un letto di cenere lì dove sempre passava il suo tempo pregando. Le sue esequie furono riportate a Tours ove si svolsero i funerali solenni l’11 novembre che divenne la data della sua celebrazione liturgica. Sulla sua tomba si eresse una basilica ricostruita più volte e che conserva nella cripta le sue reliquie. Alla basilica fu annesso un monastero che dal primo medioevo divenne un centro culturale e artistico molto importante con numerose scuole.

La tomba di Martino fu meta di numerosi pellegrini che si immergevano in un bacino con la speranza della guarigione e al ritorno portavano con sé fiale del terapeutico “olio delle benedizioni” dalle lampade votive della chiesa.

Numerosi altri episodi miracolosi e straordinari si elencano su di lui. Un giorno, avendo donato la sua tunica ad un povero, e non avendone potuto indossare un’altra prima della celebrazione della messa si videro le sue braccia nude. Fu allora che scese su di lui un globo di fuoco che glorificava il suo sacrificio per il prossimo-

Un altro miracolo fu quello che avvenne sulla strada che percorreva per giungere a Roma. Sbucò all’improvviso un orso che divorò l’asino, ma il santo lo punì e lo obbligò a portare i bagagli al posto dell’asino.

Il demonio cercò di tentarlo varie volte. Un giorno lo aveva fatto precipitare da una scala e, invano, aveva anche cercato di arpionarlo con un uncino.

Martino riuscì anche a burlarlo, come racconta la leggenda del “ponte del diavolo “nel paese di Pont Saint – Martin, in Val d’Aosta. Un giorno le acque in piena del torrente Lys, distrussero il ponticello in legno che era il solo accesso al paese. San Martino, passato di lì, convocò il diavolo al quale intimò di costruire un ponte in muratura. Il demonio accettò a patto di avere come compenso la prima anima che sarebbe passata sul ponte. Martino lo beffò facendo passare un cane e il diavolo fu costretto a scappare con la coda fra le gambe. Ogni anno i paesani, nel Carnevale, rappresentano la leggenda con un corteo nel paese con il Santo come un cavaliere romano, con giochi e gare di carri allegorici. Il culmine della festa è al termine del carnevale in cui il fantoccio che rappresenta il diavolo viene bruciato sul ponte e le sue ceneri gettate nel torrente sottostante.






Nel medioevo un’altra leggenda narrava che il Santo, mentre passava per Augune, nel Vallese (Svizzera), luogo in cui erano stati martirizzati San Maurizio e i suoi compagni, notò che l’erba si tingeva di un liquido rossastro: era stato in quel modo restituito il sangue di questi martiri che lui poi raccolse nei vasi che gli furono donati da un angelo e che egli riempì e distribuì in varie chiese.

San Martino fu il primo santo non martire ad essere venerato e questo grazie a papa Simmaco (498 – 514) che gli dedicò una basilica sull’Esquilino, oggi l’attuale San Martino ai Monti.

Il Santo divenne anche il patrono della monarchia merovingica che riteneva la sua mantella sacra fu conservata nella cappella (chapelle) reale così chiamata perché custodiva la celebre cappa (chape). Il termine “cappellano” (chapelain), che inizialmente indicava il custode della cappa di San Martino, deriva proprio dal culto del santo.

La festività di San Martino divenne una sorta di Capodanno. Infatti, sino al termine dell’Ancien régime, l’11 novembre iniziavano le attività dei tribunali, delle scuole e dei parlamenti, venivano indette le elezioni municipali, si pagavano le rendite, le locazioni e si rinnovavano i contratti agrari. La ricorrenza era festeggiata con fiere, fuochi e banchetti con il vino novello in base al detto “per San Martino ogni mosto è vino”. Per i bambini era la festa in cui il Santo, come oggi la Befana, portava ad essi regali dalla cappa del camino e se fossero stati capricciosi avrebbe depositato una frusta detta in Francia Martin Baton o martinet. San Martino è considerato protettore di albergatori, cavalieri, fabbricanti di maiolica, fanti, forestieri, mendicanti, militari, osti, sarti, i colpiti da calamità, vendemmiatori, viticoltori e di numerosi comuni italiani.

Il Santo è anche considerato il protettore dei cornuti e tale patronato gli deriverebbe proprio dallo svolgimento delle fiere che si svolgevano nei tempi antichi nel periodo della sua festività. In queste fiere di bestiame partecipavano soltanto gli uomini che lasciavano a casa le loro mogli. Nei giorni delle fiere si beveva molto vino, specie quello novello appena spillato, e quindi ci si lasciava trasportare anche da comportamenti licenziosi. Le mogli, in assenza di loro mariti, potevano darsi alla pazza gioia, a tradimenti e il termine cornuto deriverebbe proprio perché ciò accadeva in concomitanza di tali fiere.

Un’altra versione si riferisce ai riti pagani del Capodanno celtico che si concludeva all’incirca l’11 novembre e che prevedeva comportamenti ed atteggiamenti sfrenati e promiscuità. Come l’ipotesi precedente anche questa aveva un collegamento con il corno potorio, il corno dei bovidi che veniva utilizzato per bere come un bicchiere durante le fiere.

Si sostiene anche che la festa dei cornuti sia collegabile alla Kabbah: si fa riferimento all’immagine delle corna che rappresenta il numero 11, che potrebbe essere riferito ai termini dibah, pettegolezzo, calunnia e zad, malvagio, insolente. Inoltre, semplicemente, perché il numero 11 possa derivare dal segno delle corna fatto con le mani.

Per questa festività si usa anche un particolare dolce: la torta dei cornuti, presente in molte zone d’Italia ed anche in Abruzzo. A tale proposito suggerisco di consultare la seguente pagina web in cui sono illustrati ingredienti e modalità di preparazione della torta.


https://blog.giallozafferano.it/loscrignodelbuongusto/torta-di-san-martino/

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