IL MONUMENTO AL PASTORE A FONTE MACINA di Franco D. Lalli

IL MONUMENTO AL PASTORE A FONTE MACINA


di Franco Dino Lalli






Notizie su Pupo Nunzio e foto del monumento:
  • dal sito www.traveltrek.it/2019/10/16/pupo-nunzio-storia-di-una-tragedia
  • Transhumance, viaggio tra le pietre pastorali dell’Abruzzo aquilano di Fabio Filippi (Martintype)



Nella piana di Campo Imperatore, e precisamente nella località Fonte Macina, si trova il monumento al pastore opera dello scultore Vicentino Michetti in ricordo della tragedia avvenuta nell’ottobre del 1919 quando il pastore Pupo Nunzio di Roio, insieme ai suoi due figli, uno dei quali molto piccolo, ai suoi cani e al suo gregge, perirono, sorpresi dalla tormenta di neve e vento forte. L’opera, ricordando l’accaduto, vuole rappresentare e glorificare il valore dei sacrifici dei nostri pastori, la loro vita quotidiana, il loro duro lavoro per la memoria collettiva di ieri e di sempre, un valore da ammirare, comprendere e preservare dall’oblio.

È costituito da due gruppi separati, uno di fronte all’altro, su due grandi massi di pietra in marmo bianco che risaltano con il loro candore e intensità anche da lontano. Figure di una forte semplicità ma che rappresentano e comunicano la tragicità dell’evento offrendo la possibilità a chi osserva quasi di parteciparvi concretamente. Le espressioni del viso, la plasticità delle movenze ricordano l’immensa sofferenza dei protagonisti: il tentativo da parte del pastore con sulle spalle il figlio più piccolo e con l’altro stretto vicino a sé, di scampare alla bufera,






la disperazione della moglie che con le braccia al cielo invoca la salvezza per i suoi mentre si leggono sul suo volto la scarnificante realtà della disperazione.





Nell’osservare il monumento si ha come l’impressione che lo scultore abbia voluto non solo eternare l’accaduto, ma tentare di ricostituire nella memoria quel gruppo di affetti che una tragedia così terribile aveva invece distrutto.


Chi passa tra i due gruppi e che osserva con sentita partecipazione può così “entrare” dentro il racconto, emozionarsi e custodirlo nel ricordo
.






Dalle informazioni tratte dal sito www.traveltrek.it/2019/10/16/pupo-nunzio-storia-di-una-tragedia risulta che in quei giorni di ottobre del 1919 si verificarono sulla piana di Campo Imperatore precipitazioni notevoli come quantità di neve che raggiunsero i due metri di altezza unitamene ad un vento di grecale che produsse la tormenta di neve che portò alla morte dei componenti del gruppo con il gregge e i cani. Essi furono colti all’improvviso dalla bufera e tentarono di mettersi in salvo provando a raggiungere il paese di Calascio in cui si trovava la moglie. Ma non riuscirono affatto nell’intento in quanto la situazione meteorologica peggiorò e morirono per congelamento mentre il gregge (secondo quanto riportato era composto da circa 5000 pecore) si disperse totalmente.
La moglie che li attendeva con trepidazione nel paese, resasi conto della situazione, decise di raggiungerli ugualmente incamminandosi verso il Guado di San Cristoforo, ma impazzì per l’immensa difficoltà di procedere nel cammino e morì anche lei sopraffatta dalla bufera. Soltanto nella primavera seguente, con lo scioglimento delle nevi, i loro corpi furono ritrovati.


Sullo svolgimento dei fatti di tale evento mi sembra opportuno riportare un’altra testimonianza in merito, che ci fa conoscere una versione dei fatti un po' diversa da quella appena citata, riportata nel volume Transhumance, viaggio tra le pietre pastorali dell’Abruzzo aquilano di Fabio Filippi (Martintype). 
L’autore infatti riporta la testimonianza di un anziano signore, Caruso Nunzio di anni 93, abitante a Capestrano, dalla quale apprendiamo che il pastore Pupo Nunzio, sposato con sua zia Ersilia Caruso, era un uomo istruito e che aveva scritto anche dei libri. Per queste sue capacità il pastore fu ingaggiato dal re Vittorio Emanuele III per l’attività di scrittura e ricerca. Pupo Nunzio rimase alle dipendenze del re per circa tre anni, ma decise di abbandonare il lavoro offerto e tornare a vivere in montagna per essere pastore. Fu sorpreso dalla bufera con i suoi due figli mentre stava riportando il gregge verso Castel del Monte. La moglie del pastore, dopo che la notizia della tragedia si sparse, fu ospitata nel palazzo che si trovava a capo Piazza Duomo in L’Aquila, di cui erano proprietari la famiglia Dragonetti de Torres, che erano i padroni armentizi del gregge che guidava Pupo Nunzio. La donna, ogni giorno, nel servizio per i suoi padroni, trasportava una conca d’acqua per settanta gradini, non si nutriva più e la grande disperazione e la malnutrizione, unitamente al crepacuore la condusse alla morte.


Storia del monumento

Il monumento di Vicentino Michetti ha avuto una storia travagliata soprattutto in riferimento alla sua collocazione nella piana di Campo Imperatore. L’opera fu donata dall’autore al Comune di Castel dl Monte con l’intenzione di esporla al bivio di Fonte Vetica dove sarebbe stata maggiormente visibile da tutti. Il Comune però rifiutò tale donazione anche se una petizione firmata da cinquanta cittadini del paese spingevano il Comune ad accettarla in quanto tale donazione era rivolta soprattutto al popolo e non agli amministratori ed era sentita come qualcosa di importante per la memoria collettiva.

Il Comune, comunque, non retrocesse dalla sua intenzione e ufficializzò il rifiuto. Michetti, nonostante comprendesse che si trattava solo di motivazioni politiche, decise ugualmente, di sua iniziativa, di posizionare, con un a colata di cemento, i due gruppi nel luogo ove avrebbe voluto e lo fece di nascosto di notte.

Immediatamente arrivò l’ingiunzione dal Comune per la rimozione dell’opera e la denuncia alla Magistratura per abuso edilizio, occupazione di suolo demaniale e reati vari. Ma l’artista non fece nulla e le statue rimasero lì per un po’ di tempo. Il Comune, allora, con una ruspa fece demolire la base di cemento, rimosse le statue e le depositò nel cortile della caserma dei Carabinieri quale corpo del reato. 
Ricordo bene, io personalmente, nel periodo in cui lavoravo nel paese di Castel del Monte, quando ho avuto la possibilità di osservare, con lo stupore di trovarle in quel posto, le statue che costituiscono il gruppo del monumento, e sono venuto a conoscenza della situazione.

Comunque, il Comune fu costretto a riprenderle perché costituivano un intralcio ai lavori di pavimentazione della caserma e le statue furono collocate dietro il garage dei mezzi della nettezza urbana.

Dopo vari anni di lotta, affinché il monumento avesse finalmente un posto adeguato dove installarlo, dal momento che il Comune di Castel del Monte non lo voleva, lo scultore decise di donarlo al Comune di Ofena che lo posizionò nel luogo ove si trova ancora oggi: Fonte Macina.

Nel 2006 il monumento ha subito un grave ed ignobile danneggiamento da parte di ignoti vandali. Ad esso sono stati spezzati le due mani della donna, la mano del pastore e del bambino, la coda e l’orecchio del cane ed il bastone.

Successivamente il monumento è stato restaurato ed ora è ritornato integro ad offrire il suo messaggio e la sua storia.



Breve biografia di Vicentino Michetti

Vicentino Michetti era nato a Calascio 16 febbraio del 1909 ed è morto a Pescara nel 1997. Apparteneva ad una famiglia di costruttori e proseguì nella continuazione dell’attività di famiglia senza mai abbandonare l’arte che era la sua vera passione. Fu infatti la figlia ad ispirarlo e a spingerlo a realizzare i primi disegni e le prime plastiche. Dopo la guerra ritornò alle sue passioni, esponendo anche a Roma nel 47 e nel 56 e a Parigi nel 58, alla Galleria Bernheim. Altre opere visibili a Pescara sono “Grazia. Le marenare”, all’interno del Comune, “L’Obelisco D’Annunziano”, il Teatro “D’Annunzio”, “La Donna stesa” all’interno di Villa Urania.

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