I "Muscitti", un termine dialettale in disuso
Post di Ivana Fiordigigli
I "Muscitti", un termine dialettale in disuso
Esaminando il "Quadernone" di appunti di Gino Faccia, a un certo punto c'è una parola particolare: "MUSCITTI". Il contesto è chiaro, si sta parlando di pastori, ma la parola è strana e, dato che tutto il "Quadernone" è scritto in carattere stampatello maiuscolo, il che non facilita, inizialmente si pone una ipotesi: che si tratti del cognome di una famiglia del posto dedita in altri tempi alla pastorizia.
Né di grosso aiuto sono stati vocabolari o enciclopedie consultate dove questa parola non risulta.
Perché questo termine usato in Assergi? Da che deriva questa parola? Quale il suo preciso significato?Gino Faccia, interpellato, ha detto che "muscitti" era una parola comunissima in Assergi e veniva usata per indicare i pastori. Riguardo al possibile significato della parola e sulla sua derivazione ha affermato, riflettendo, che poteva derivare dall'aggettivo "moscio" e che poteva riferirsi ai pastori, i quali, abituati a stare soli e in montagna, assumevano un ritmo lento e riflessivo. Si riporta di seguito l'appunto di Gino così come scritto.
Pastori
di Gino Faccia
I “Muscitti” avevano le casette a “Capo u Mortale” e “Monterotondo”. D’estate portavano le pecore in montagna: a Portella, Mannulino, Ara di San Franco, o allo Stazzu de Palitte, Capo L’Acera, U jacce dei Castrati", Piari, Pesco Mennucce, U Scuntrone.
Le pecore venivano bagnate al Massale e dopo si carosavano a mano con le forbici.
L’inverno andavano a Roma o a Foggia col Tratturo.
I mercanti, che venivano da noi in estate, erano di Roma, delle Puglie, della Sardegna; alcuni di loro si sono sposati ad Assergi.
Dalle sintetiche frasi riportate emergono alcune fondamentali informazioni su quanto riguarda la vita e i luoghi dei pastori di Assergi. Ricordiamo che Gino dà informazioni di prima mano avute dai suoi genitori e dai ricordi di infanzia dei suoi genitori, per cui cronologicamente riguarda un periodo che dagli ultimi anni del 1800 abbraccia la prima metà del 1900 e la seconda metà dello stesso secolo.
- i "muscitti" avevano casette (Capo u Mortale o a Monterotondo) e stazzi (Mannulinu, Portella, U Scuntrone, Aia di S. Franco, Stazzi di Pallitto più avanti, Cape L’Acera, I Pizzi, I Piari e altri) perché l’inverno le pecore stavano alle stalle e l’estate in montagna alle casette , o negli stazzi.
- alcuni usavano la transumanza in inverno vero la Puglia o verso Roma.
- al contrario i mercanti di pecore, da Roma, dalla Puglia, dalla Sardegna, venivano in montagna in estate.
Scattata la curiosità, si è provato ad approfondire attraverso la consultazione di alcuni vocabolari dialettali di diverse zone, senza alcun risultato.
Dizionarietto punico-abruzzese
L'unico testo che ha suggerito una ipotesi più appropriata all'argomento, ma tutta da verificare è il seguente: Dizionarietto punico-abruzzese (alle origini della parlata sdreus' ) di Antonio Fratangelo, Annibal puteqa, Tipografia Senese, Siena 2006,
Qui compare un termine che potrebbe essere attinente, ma non convince molto:
muscisca/ muscischia/ m' scesk - carne di pecora/capra essiccata ed affumicata. Conservata per tutte le circostanze e imprevedibilità della vita pastorale, da Mask per pelle, parte superficiale: la sopravvivenza dei pastori (v. mescesca/ mucisca).
mescesca/ mucisca - carne essiccata al sole, tipica dei pastori abruzzesi. Da Msk/pelle o da Mes-ko/Mask-pelle, carne secca: uno dei cardini della vita pastorale, quando non c'è niente, c'è sempre una mesceska/mucisca appesa da qualche parte, per sopravvivere; anche traslato per cose mosce e secche.
La pecora "moscia"
Altra ipotesi è che il termine possa avere attinenza con la razza di pecore "moscia"; c'è la moscia leccese
A una indagine più approfondita non risulta questa possibile connessione del termine.
Giornale "Il pastore”
Chi è Carneade?
Si può fare la stessa domanda all'indirizzo del così chiamato “Moscetto”. Spesso quelli che di armentizia ne hanno una semplice infarinatura, irridono alla sua persona e alla sua missione.
È caratteristica la sua persona. Caratteristica perché il moscetto di cui è popolato il Lazio, si è formato da sé per forza di volontà, di sacrifici e di interrotta fatica.
Egli sta nella scala gerarchica armentaria al primo gradino e tesse febbrilmente, per avanzare più su, per assidersi tra i medi e grossi proprietari di mandrie transumanti specie di quelle della campagna romana.
E tra i moscetti possono catalogarsi coloro che in qualche località d'Abruzzo svernano nel Tavoliere di Puglia.
Nella sua figura c'è un alone di una nuova forma di creazione e di conduzione degli armenti.
Questi possiede un gregge composto di 200 - 250 pecore ed abita nella capanna pastorizia; prende parte attiva nei lavori dell'azienda e ne ha pure la direzione, riduce al minimo le spese di personale, poiché incarica la famiglia e i parenti del disimpegno di tutte le operazioni.
Per contro va alla ventura ogni stagione, alla ricerca di pascoli in Agro romano, spesso prendendoli di seconda mano, talora riunendosi con altri piccoli proprietari, per assumere insieme un breve affitto d'erba. Da questi allora riceve un certo numero di pecore (50 – 100) e staglio. Ciò consiste nella consegna degli ovini al locatario nel mese di ottobre, per ritirarli, alla fine di maggio successivo; durante questo tempo egli ha l'obbligo del mantenimento e controllo degli animali dietro corrisposta del proprietario di un compenso pari ad una libbra di lana per ogni capo adulto, nonché 25 Agnelli per ogni 100 pecore matricine. La consegna del branco si fa in montagna; la restituzione in maremma.
Il moscetto - come si apprende - muove alla conquista mentre parecchi colossi forestieri dell'armentizia si afflosciano; è la scalata cui il moscetto si prepara per diventare forza viva e pulsante per il ripopolamento delle nostre montagne, che dalla trasformazione degli allevamenti, attingeranno quanto occorre per il loro definitivo potenziamento.
M. D. M.
Su questo significato con una ricerca su internet si riesce a verificare il termine "moscetto".
«Lu pecoraru quanno va a Maremma, se crede d’esse un principe e un notaro, la coda della pecora è la penna, lo secchio de lo latte è lu calamaru», dice un antico canto pastorale. Transumante, dunque, ma anche istruito, primo capitalismo agrario insieme ai tempi allungati e ai silenzi impegnativi.
Altra conferma
La testimonianza di un altro sito ci conferma che il "moscetto" è un piccolo proprietario di montagna che poteva avere anche sino a 500 capi e che affrontava il trasferimanto dalla Valnerina sino alla Capagna Romana e al Viterbese.
L’epopea del pastore by Redazione BlogLaValnerina Leave a Comment
Tra gli ultimi giorni di settembre – comunque non prima delle festività in onore di San Michele Arcangelo – ed i primi giorni d’ottobre dalle vette della Valnerina partiva la transumanza, quella che, nella tipologia di Deplancques è detta “piccola transumanza inversa”, la quale dalla montagna si dirige verso la pianura. Questa transumanza invernale interessava sopratutto i piccoli proprietari della montagna. Oggi, anche questo tipo di transumanza è praticamente scomparso perchè la consistente riduzione del numero dei capi di bestiame non giustifica più il lungo trasferimento necessario per raggiungere la Maremma o la Campagna Romana.Il piccolo proprietario di montagna – detto in gergo “moscetto” – che possedeva un numero superiore di capi (in genere fino a 500) era costretto a fari discendere le pecore in pianura. Il periodo della transumanza inversa, che iniziava in corrispondenza delle celebrazioni in onore di San Michele Arcangelo, terminava con le feste patronali di San Giovanni Battista e si svolgeva in due diverse direzioni: la Campagna Romana ed il Viterbese.
STATISTICLASS è un sistema informativo che utilizza la professione e i dati raccolti dai siti web di numerose istituzioni (Istat, Isfol, Miur, etc) o forniti come open data, per dare un quadro informativo completo sul mercato del lavoro e per favorire l'incontro domanda offerta.
Riportiamo le professioni indicate con la lettera "M".
Manzolarino
Manzolaro
Margaro
Massaro (allevatori, pastori e altri guardiani di animali)
Massaro di animali
Massaro di bovi
Massaro di bufale
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Massaro di capre
Massaro di giumente
Allevatore di equini
Massaro di pecore
Massaro di porci
Massaro di vacche
Massarotto
Meri
Mesarolo sfaccendato
Minorente
Montonaio
Mornente
Moscetto
Allevatore di ovini
Mercante di campagna e moscetto
In altre zone dell'Italia centrale è facile ritrovare cenni ad un tipo di vita caratterizzata da attività pastorali e sul sito http://www.latolfa.com si può leggere quanto scritto circa la vita pastorale nella zona di Tolfa; Si riporta un estratto di alcune pagine dedicate allo scrittore Basilio Pergi, dove si delinea l'ambito sociale nel quale inquadrare il "moscetto":
UN MESTIERE SCOMPARSO: IL « MERCANTE DI CAMPAGNA »
Sul finire del XIX secolo e l'inizio del XX, in piazza del Pantheon a Roma si potevano incontrare molti personaggi che oggi definiremmo strani: vestito scuro, bastone dal manico ricurvo, cappello nero a larghe falde, pancetta prominente, colore molto abbronzato nelle guance grassocce, ma soprattutto portafoglio ben fornito a più scomparti o, come si diceva allora, a fisarmonica.
Proprio da queste caratteristiche dell'aspetto si riconosceva subito che quel personaggio, che immancabilmente si recava a pranzo alla « Rosetta » era un « mercante di campagna », personaggio tipico della Maremma, da non confondersi né con il « latifondista » né con il « moscetto » ma dei quali era la via di mezzo.
Il mercante di campagna era colui che marcava con il proprio marchio a fuoco un certo numero di bestie. Il nominativo « mercante » non sta infatti per commerciante o trafficante, cioè colui che compra o vende qualsiasi merce, ma sta ad indicare un proprietario di bestiame che fa portare incise a fuoco sugli animali le sue iniziali. Perciò era facile sentire frasi come questa: « ho tremila pecore con il mio merco », oppure « ho quattrocento vacche con il mio merco », od ancora « ho quaranta buoi con il mio merco », e così via. (1) Il Mercante non era un latifondista perché non era proprietario di vasti appezzamenti di terreno superiori al migliaio di rubbi romani (1 rubbio = 18.484 mq.), ma affittava qualche tenuta in Maremma a seconda dei suoi bisogni e per la sola stagione invernale. Ovviamente l'affitto poteva essere, ed a questo tendeva il mercante, pluriennale, per tre o nove anni.
Il Mercante non era un « moscetto », perché il moscetto si limitava ad avere una proprietà di qualche centinaio di pecore e qualche decina di vaccine e cavalli, e si accontentava di trovare il pascolo per i suoi animali nelle terre di proprietà delle Università Agrarie che annualmente affittavano il pascolo invernale, diviso in « quarti » e per quella superficie che non era richiesta dagli utenti della Università stessa, che avevano la precedenza sia a pascolo che a semina. Il Mercante, mediamente e se voleva essere degno di tal nome, era proprietario di un gregge di circa tremila pecore ed una mandria di 400-500 capi vaccini e cavallini, più qualche decina di bestie da soma o da tiro o da cavalcare, indispensabili per la propria attività; ebbene, tutte queste bestie erano marchiate a fuoco con le iniziali del Mercante cioè dell'imprenditore che si era dato, spesso per secolare tradizione di famiglia, a quella attività agro-pastorale.
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