Assergi e la pastorizia - notizie dal Quadernone di Gino Faccia

 Post Ivana Fiordigigli

 Le vette della catena del Gran Sasso con la loro particolare conformazione, i pianori e vallate che da essa vengono racchiusi e soprattutto la spettacolare Piana di Campo Imperatore, sono elementi di un ambiente e di un territorio che da secoli ha dato vita al settore allevamento, soprattutto ovini, determinando e alimentando fenomeni storico-economico-sociali come la transumanza.

In Assergi, l'ultimo paese ai piedi di Pizzo Cefalone e del Gran Sasso, sicuramente la pastorizia, con l'allevamento e il pascolo soprattutto di ovini, ma anche in parte di bovini, hanno avuto peso e importanza nel corso dei secoli tra le attività economiche della zona. Si consideri che questa realtà si è accompagnata a una agricoltura, pressoché di sussistenza, lungo la Valle del Raiale ricca di acqua o nei pendii e zone un po' più pianeggianti non irrigabili, ma che venivano dissodate con fatica, si prestavano alla produzione e venivano coltivati a grano, a vite, alberi da frutta, noce, mandorlo, patate, leguminose come ceci e lenticchie, erbe per animali. 

Anche se restano poche testimonianze, si può affermare con sicurezza che nel paese la pastorizia ha coinvolto variamente gli abitanti e attività artigianali e di servizio attraverso le due prevalenti modalità in cui si espletava:

  • Come luogo di appoggio, nel transito o sosta stagionali, delle grandi aziende armentizie dell'Agro romano o delle Puglie con  le greggi che andavano e venivano secondo il ritmo della transumanza e con tutto l'apparato gerarchico dei precisi ruoli delle grandi maestranze delle masserie: dal massaro o vergaro che era quello che gestiva l'azienda; al  casiere o che lavorava il latte prodotto e produceva formaggi; ai butteri con i loro cavalli e muli che controllavano e guidavano le greggi; ai pastori specializzati per determinati settori (capre, montoni, muli, asini); ai semplici pastori del gregge; ai garzoni che aiutavano i pastori a svolgere le quotidiane mansioni legate al  gregge. Ognuna di queste categorie riceveva un salario, in diretta dipendenza del numero dei capi, dell'età e del sesso del lavoratore, e suddiviso in una retribuzione in natura e una retribuzione in moneta. Dice Gino Faccia. "I mercanti di pecore, che l’estate che venivano da noi, erano di Roma, delle Puglie, della Sardegna. Alcuni di loro si sono sposati ad Assergi."
  •  Come luogo di aziende pastorali locali condotte a carattere prevalentemente familiare o con l'aiuto di garzoni che quotidianamente prestavano la loro manodopera con paghe sicuramente di sopravvivenza e soprattutto in natura.

Nel Quadernone Gino Faccia parla di alcuni pastori di Assergi, precedenti alla generazione ultima e più conosciuta dei Ssì Antonini, Napoleone, Cipicchia del periodo seconda metà Novecento e primi venti anni del Duemila.

Ritengo Gino Faccia un testimone della tradizione pastorale di Assergi, su cui poter fare  affidamento, perché nel corso delle vicende della sua vita di adolescente prima e di giovinetto dopo, per due successivi matrimoni della madre Paolina, ha avuto due padri che lavoravano con i pastori di Assergi.

Il primo è "Santareglie" e Gino racconta che spesso parlava con lui ed era affascinato dai racconti della sue esperienze di lavoro come garzone con i pastori. Già anziano, muore nel 1956, lasciando soli Paolina e Gino a cavarsela con la vita. Della sua vita di garzone di  pastori di Assergi c'è questa testimonianza-racconto del padre:

 "Lazaritte è stato un altro pastore di Assergi. Santareglie raccontava che con lui ci è stato quaranta anni e si è guadagnato du' sordi, trovati là, tra la cenere del fuoco!"

L'altro padre di Gino, una volta risposata dopo due anni Paolina, è "Giappone". Anche lui aveva sempre lavorato come garzone con i pastori di Assergi, nell'ultimo periodo della sua vita con i Cipicchia e, proprio mentre andava ad accudire le pecore davanti alla "Rotta de Chochia", ebbe un incidente, investito da una macchina, le cui conseguenze condizionarono gravemente l'ultima parte della sua vita. 

Era innamorato della sua arte di pastore. Questo  riconosce e celebra  Eugenia Vitocco nel suo brano "Un canto per un pastore di Assergi". Questo dato risulta confermato anche da Gino, quando racconta che, Giappone malato, dopo l'incidente occorso, se non veniva controllato dai familiari, scappava da casa nel tentativo di tornare al suo gregge, in mezzo alla natura, in montagna:



Cito da Eugenia Vitocco:
"Un pastore alto, snello sempre col suo sostenitore, il bastone e l'ombrello con il suo zaino a tracollo in cui custodiva le poche provviste alimentare giornaliere, la borraccia dell'acqua e un po'di vino nel fiaschetto ristoro speciale della sua giornata e la pagnottina nera per i suoi cani, che al suo ordine andavano a prenderla rovestando col muso nel suo zaino per poi condividere il piacere e la gioia di un pranzo con lui e con le sue pecore che lietemente riposavano. ...
Chiamava le sue pecore per nome e ci parlava. Erano cosi bene abituate al suo richiamo da riconoscerci gli orari di sveglia e di ritorno alla stalla. Lo precedevano come soldati in fila, l'una seguiva l'altra. Le custodiva con una relazione alimentata da segni, da un bastone santo che non bastonava nessuno e da fischi di richiamo aiutato dai suoi fedeli cani che rispondevano muti alla sua voce, mantenendogli il gregge sempre ai limiti dei terreni seminati su pendii e siepi comuni. ... Il suo nome era "Giappone" un pastore come migliaia di altri che l'hanno preceduto nei secoli; un dedicato-nato per essere pastore, un saggio, isolato, obbliato, e sconosciuto che senza computer sapeva leggere il cielo, dava le previsioni del tempo, conosceva le sue pecore ed amava la natura; rispettava la gente, elargiva un "Buon Giorno" a tutti quelli che incontrava nel suo percorso giornaliero e consacrava i pascoli perenni del nostro Gran Sasso, emblema degli appennini Abruzzesi."

Dopo di lui Cipicchia ebbe altri garzoni, come "u Bariscianotte" e poi altri ancora. Cipicchia fece anche un tentativo di mettere su in Assergi un caseificio e rivendita di formaggi, ma finì dopo qualche anno.



DAL “QUADERNONE” INEDITO



di Gino Faccia

Assergi e la  pastorizia

Gli stazzi

Parlando di pastori nel Quadernone il primo elemento che Gino racconta è che secondo le stagioni le greggi di Assergi stavano in inverno nelle stalle, nelle stagioni intermedie nelle casette a Capu u Mortale e Monterotondo, nell'estate in montagna negli stazzi.

Gli stazzi si trovavano in varie località ed ognuno era frequentato da uno o più pastori; se ne indicano alcuni segnati nel Quadernone:

- Portella, dove c'era anche acqua sorgiva; vi andavano i "Ssi Antonini" e altri.

- Ara di San Franco a Pizzo Cefalone; erano tre o quattro stazzi tra cui "U Jacciu de Pallitte, dove andavano due o tre pastori: Cifone Vincenzo, Colonnegliu, Pallitte.

- u Scuntrone, che si trova nella zona sopra la Funivia.

- Prate Risce

- Gruttinceglie all'intermedia della Funivia.

- La grotta Rottazzella a Valle Fredda.

- U Puzzegliu sopra Valle Fredda, dietro a Montecristo, a confine con Fossa di Paganica.

- Capo l'Acera, a Capo u Mortale, dove stavano le casette; vi andavano i Puciareglie.

- Jacce dei Castrati, sopra Capo l'Acera e Colletonne.

- Sotto l'Acqua Ròssa, dove andavano gli Sciarpella.

- Monterotondo, dove c'erano le casette e vi andavano tutti quelli di Portella, Colonneglie, la Camardella, e altri come i Graziani.

- Jacce della Formica.

- I Piari

- I Pizzi

- Mannulinu

- Peschio Minucce, verso Capo l'Acera e Ju Mortale, con Acqua de Fucischia. Acqua Caitora per Mortale e Capo l'Acera.

La numerosità degli stazzi fa capire che qualche tempo fa in molti ad Assergi avevano un gregge, di venti, trenta, cinquanta pecore, quindi greggi non molto ampie numericamente. Qualcuno arrivava al centinaio.



Famiglie di pastori 

Se ne elencano alcuni: Colonneglie, la Camardella,  i Graziani, gli Sciarpella, i Castrati, i Puciareglie, Cifone, Colonnegliu, Pallitte, i Quaranteglie, i Pipiale.

Ultimi e più recenti i Ssì Antonini, i Napoleone, i Cipicchia.



Il bagno delle pecore nel Raiale




A maggio le pecore venivano bagnate nell'acqua del torrente Raiale, a "Ju Massale a Pée la Valle". Era uno spettacolo vedere le pecore, un pò ritrose, spinte nell'acqua, vederle nuotare ed uscire schizzando acqua dalla parte opposta. I pastori poi le dirigevano lungo il pendio assolato ad asciugarsi. Il giorno successivo, con la lana leggera e diventata candita, ogni gregge di pecore veniva accuratamente tosato a mano con le apposite forbici, dando poi il via alla vendita della lana allo stato grezzo, oppure a tutte le operazioni di pulitura e cardatura della stessa per la successiva lavorazione. Nella seconda metà del Novecento molta lana di Assergi veniva acquistata dai Rossi di Paganica.


(La trattazione della pastorizia continua in successive puntate)


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