"Sangue e fiori" di Franco Dino Lalli (angolo della poesia)
Post Ivana Fiordigigli
Questa volta l' "angolo della poesia" riguarda un testo poetico decisamente particolare e, soprattutto, nuovo; si tratta, quindi di conoscerlo e di scoprirlo.
Intanto va premesso che la poesia, oggi offerta in lettura, è quella che dà anche il titolo al nuovo libro, pubblicato in maggio 2022 da Franco Dino Lalli presso Edizioni Tabula Fati:
"Sangue e fiori"
Perché intitolare il libro e la prima delle poesie che lo compongono "Sangue e fiori"?
La prima immagine che viene in mente leggendo queste due parole, è di una scena di guerra e di violenza, forse sulla spinta di quanto ci inonda attraverso i media relativamente all'Ucraina.
Basta, però, leggere i primi versi per capire che l'autore poeta parla di altro: una guerra molto simbolica, quella quotidiana e sofferta dei nostri padri contadini nei nostri paesi di montagna, che, col sudore della fronte, lavoravano la dura terra e riuscivano a strapparne fiori e frutti per la sussistenza della propria famiglia, cercando miglioramenti sensibili delle condizioni di vita almeno per i propri figli.
si sacrificavano sull'altare della terra
e il loro sangue generava fiori e frutti
Quanto lavoro e quanta fatica si sono accumulati nei giorni, negli anni e nei secoli per garantire la sussistenza dei propri cari e delle proprie famiglie, quanto sudore, ma, sempre senza le sirene della retorica e senza gli squilli di tromba di riti e cerimonie ufficiali!
I nostri padri non sono mai stati eroi,
ma solo viandanti sconosciuti
di un destino senza storia
Giorno per giorno si compiva il loro destino, fra la terra e i sassi, ma senza un premio finale e risolutivo, degno di un tal nome. Un'intera vita di stenti, lavoro, fatica, appena addolciti e supportati da un senso di fede ingenua, ma sempre profonda e sentita e mai messa in discussione, anche quando le bestemmie venivano gridate come canti:
per conquistarsi un posto in paradiso
ed uno sulla terra al cimitero.
Il nulla e il silenzio, quindi, sembrano coronare la loro vita, ma restano i semi caduti nel terreno e pronti a dare nuovi germogli. Non so se oggi noi figli siamo in grado di farli germogliare.
Chi erano, dunque i nostri padri? Qui si susseguono immagini molto belle suggerite dalla fantasia del poeta; esse si librano oltre la dura realtà quotidiana, danno consistenza ai sogni, diventano una sostanza di vita vera e vibrante:
erano i figli del grano e dell'uva..., indovinavano un raccolto dal tempo e dalle nuvole..., chiamavano i campi col nome dei loro padri..., appendevano i loro sogni col rastrello..., erano emigranti, figli di un impossibile ritorno..., nel cuore custodivano canti di mietitori..., custodivano un canto di sorgente..., nelle mani le trame d'oro di una spiga..., il sapore della terra nelle parole..., nelle voci i sogni degli alberi lontani... .
Si snodano così i versi della prima delle liriche della sezione "La memoria tradita" e chi ha tradito i nostri padri, la nostra terra, il nostro territorio siamo noi uomini di oggi che abbiamo perso ogni attaccamento o ricordo e non riconosciamo più nemmeno il senso del vivere. La poesia diventa così un invito a riscoprire le vie della natura, il sogno delle cose semplici, il vero senso della vita. Però, a questo punto, leggiamo e gustiamo la poesia.
... indovinavano un raccolto / dal vento e dalle nuvole / che a frotte riempivano i loro occhi.
Sangue e fiori
di Franco Dino Lalli
I nostri padri erano i figli del grano e dell’uva,
si sacrificavano sull’altare della terra
e il loro sangue generava fiori e frutti.
Poi arrivava la falce del raccolto,
il nulla ed il silenzio…
I nostri padri non sono mai stati eroi,
ma solo viandanti sconosciuti
di un destino senza storia.
Nelle loro mani fioriva un tempo senza semi,
mentre indovinavano un raccolto
dal vento e dalle nuvole
che a frotte riempivano i loro occhi.
Chiamavano i campi con il nome dei loro padri
ed ogni zolla era moneta,
un grano del rosario da sgranare,
le bocche delle donne e i loro seni.
I nostri padri si riempivano le tasche
di terra scura e sassi
per conquistarsi un posto in paradiso
ed uno sulla terra, al cimitero.
Appendevano i loro sogni col rastrello
e raccoglievano solo foglie e briciole
sulla strada verso il sole.
Mordevano la neve come bimbi
per dissetare la sete e la fatica,
bofonchiando in silenzio una preghiera,
gridando bestemmie come canti
con la schiena sulla terra…
I nostri padri erano emigranti,
figli di un impossibile ritorno.
Attraversarono un orizzonte di lacrime e speranze
con un pesante fardello di ricordi,
nel cuore custodivano canti di mietitori
per riempire il deserto degli affetti,
un canto di sorgente
per placare la dignità di uomini soli,
nelle mani le trame d’oro di una spiga,
il sapore della terra nelle parole,
nelle voci i sogni degli alberi lontani
e sui sentieri sconosciuti la memoria,
il vino e il pane della loro vita.
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