Sabato Santo
(tradizione a S. Benedetto in Perillis)
La sera di sabato di buon’ ora i ragazzi e i giovanotti iniziano a girare per il paese per raccogliere i
fasci di frasche per il fuoco santo.
Viene preso quel che si trova, in una specie di furto sacro.
Perciò ogni famiglia si fa i conti prima. Chi può lascia fuori un solo fascio di frasche per devozione
e qualche pezzo di legna e il rimanente lo rientra in casa o nelle stalle. Quel fascio viene lasciato più
o meno in mostra, nel luogo dove di solito si tengono i fasci vicino casa o si fa finta di averlo nascosto. Così i raccoglitori ci prendono gusto a rubacchiarli, ridacchiando e sghignazzando alle spalle dell’incauto che non ha provveduto in tempo a rimettere al sicuro frasche e legna. E un buon numero di fasci di frasche si recupera. I ragazzi mandati alla ricerca trascinano i fasci sulla piazzetta
dinanzi la porta della chiesa. Chi recupera più fasci si gode il suo momento di gloria.
Ci pensano i giovanotti a costruire la catasta di fasci, spesso spropositata. Quando la catasta è diventata troppo alta, qualcuno più intraprendente sale addirittura su campanile con il suo fascio e lo butta sulla catasta. Altri fasci sono messi da parte, anche sul campanile; serviranno a ravvivare il fuoco dopo la prima grande fiammata.
Allo stridio delle raganelle e al fracasso di tric-trac e martelline, accompagnato dal grido festoso dei ragazzi, tutti si avviano verso la chiesa per la veglia pasquale. Le donne entrano in chiesa e gli uomini rimangono fuori.
Poi d’improvviso qualcuno dà fuoco alla catasta di frasche. In pochi minuti le fiamme divampano così alte che bisogna scansarsi, e alla svelta, data l’angusto spiazzo che vi è dinanzi la porta della chiesa.
Il vento alimenta le fiamme e si sa che il vento di Sabato Santo regna per tutto l’anno. Più alte sono le fiamme, più rumorose sono le manifestazioni di approvazione di uomini, giovanotti e ragazzi. Quella luce abbagliante e quel calore quasi insopportabile danno l’addio al buio e al freddo dell’inverno.
Si commenta e si scherza e il fuoco viene alimentato con il lancio di fasci di frasche, anche da sopra
il campanile.
Gli unici preoccupati, e a ragione, sono coloro che abitano attorno alla minuscola piazzetta. Quel gran calore e la miriade di scintille che sale verso il cielo rappresentano ad ogni lancio un reale pericolo di incendio. Perciò tentano di sottrarre i fasci di frasche tenuti in serbo, per evitare che le fiamme vengano alimentate a dismisura. È una lotta vana, perché giovanotti e ragazzi fanno buona
guardia. Gli uomini si limitano a farsi delle gran risate per quelle scaramucce a volte violente, quasi
dimentichi del pericolo reale.
Nel giro di qualche decina di minuti si consuma quel gran fuoco. È il momento atteso dal sacerdote.
Anche le donne si portano sul sagrato e i resti di quel gran fuoco riscaldano anche il loro corpo e il loro cuore.
Alla luce delle braci ardenti su cui guizza ancora qualche improvvisa fiammella, inizia il rito della benedizione del fuoco e dell’accensione del cero pasquale. Il sagrestano ha pronte le molle del camino per raccogliere un tizzone ardente per accendere il cero pasquale.
Poi riempie il turibolo di carboni ardenti e le donne e gli uomini rientrano in chiesa per la benedizione dell’acqua.
Rimangono fuori giovanotti e ragazzi a cercare di riattizzare il fuoco e a commentare. Qualcuno prova a saltare le braci ardenti in una prova di coraggio. Ma non vi è troppo spazio per la rincorsa e
la cosa finisce lì.
Al Gloria si sciolgono le campane. Tirando leggermente le corde dal basso viene dato il segnale a coloro che sono saliti sul campanile. I batacchi vengono tirati quasi con furore da una parte all’altra delle campane. Lo scampanio festoso delle campane a martello nella notte chiara riempie lo spazio come un inno di gioia.
I giovanotti sbatacchiano a più non posso, a gara, per minuti e minuti. Stanno però attenti a non toccare con le mani o peggio con i vestiti le campane. Sanno che potrebbero lesionarsi, se si blocca la vibrazione rapidamente. Le campane lesionate danno un suono stonato e tutti se ne accorgerebbero e darebbero la colpa a loro.
Sta fresco il sacrestano da sotto a bestemmiare e a gridare di smettere. Più grida e si arrabbia e più i giovanotti ci prendono gusto. In genere si smette solo quando il sacrestano sale su per lo scalone di legno del campanile, bestemmiando la Pasqua e chi la fa venire. È il momento di smettere di suonare e di sparpagliarsi tra le travi del solaio per non farsi acchiappare e aspettare che il sacrestano ridiscenda giù.
All’uscita della messa quasi ogni donna dalle braci ancora ardenti raccoglie con devozione un tizzone fumante o riempie una paletta di brace. A casa il tizzone e la brace benedetta vengono attentamente ricoperte di cenere nel focolare. La mattina di Pasqua con quelle braci è d’obbligo accendere il nuovo fuoco, che sarà così santificato a protezione della casa e di tutta la famiglia.
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