I lavori di marzo

Post Ivana Fiordigigli


I lavori di marzo: la potatura, il trasporto e lo spargimento del letame.

Franco Dino Lalli

Annunziata Scipione, La potatura dei pioppi, 1989, 50x70

Quasi un’icona questa rappresentazione del lavoro della potatura in un quasi impalpabile, ma nello stesso tempo vitale, scenario favoloso di un tempo lontano, interpretato e rivissuto in modo quasi onirico, con l’ausilio di colori, di elementi, di personaggi che sembrano attori di una favola, di un sogno più che protagonisti di un lavoro così duro e faticoso. L’atmosfera magica ci induce a riscattare questo tempo incorrotto nella testimonianza dell’autrice, ma anche a dare nuovo valore a una memoria importante per la nostra storia. Gli uomini che potano rami, la donna che raccoglie le potature per farne fascetti, l’uomo che arriva a caricare l’asino con i fasci per riportarli, un bambino sull’asino che gioisce dell’opportunità offertagli, una donna che arriva ad offrire un pasto e un po’ di vino ai lavoratori, sono le scene di una vita che oggi possiamo solo ricordare, ma che rimane nel nostro vissuto così indelebile grazie anche alla capacità espressiva dell’autrice che ci offre, nella sua purezza e nella sua intensità, la possibilità di  appropriarcene. 






Annunziata Scipione, Trasporto del letame, 1997 olio su tela 30x50


Il dipinto della Scipione ci offre la ritualità e la sacralità di un lavoro tanto caratteristico in una società, come quella contadina, che restituiva ad un elemento così terreno, il letame, un’alta dignità: quello della fertilità e della produttività ai sacrifici di chi lavorava la terra con il proprio sudore e con la propria capacità esperienziale. Dal mucchio del letame, lasciato macerare all’aperto, un contadino spala il letame mentre una donna gli porge la cesta per essere riempita, una bambina osserva per cercare di offrire un aiuto attraverso la sua concentrazione nel rimirare quanto accade, un altro contadino con l’asino carico della soma di letame si avvia verso i campi con un bambino a fianco che lo segue attaccato ai suoi pantaloni, un cane, anch’esso protagonista, zampetta accanto felice di poter essere parte della situazione. È la coralità vissuta nell’ambito di una comunità che faceva propri valori essenziali e necessari per vivere. Il paesaggio contribuisce a donare una suggestiva atmosfera primaverile con gli alberi che fanno da sfondo e da testimoni della rinascita incipiente, le erbe che vanno riconquistando il loro spazio vitale e che rinnovano la sensazione di rinascita. 



Si riporta di seguito dal
libro “Calendario. L’anno agrario, civile e religioso” di Giancaterino Gualtieri parte del capitolo che ci parla dei lavori di campagna nel paese San Benedetto in Perillis.

"Marzo marzolino, un fascetto, un fuscello ed un sonnellino", così recita un bel proverbio di marzo.

I giorni si sono allungati e le ore di luce cominciano ad essere tante. In una giornata si possono fare più lavori, questo è il senso del proverbio.

Con marzo il lavoro in campagna riprende a ritmo serrato.  I vari componenti della famiglia sanno benissimo quali sono i loro ruoli nella complessa organizzazione del lavoro quotidiano.

Gli uomini iniziano a potare le vigne nelle prime giornate tiepide. Bisogna anticiparsi un po’, così da evitare il pianto delle viti, come può avvenire in aprile. Spesso precedono il potatore lungo il filare le donne o i ragazzi. Sono addetti alla spuntatura di tralci, cosicché il potatore può procedere più speditamente nella potatura. I tralci vengono raccolti in fasci da usare per il forno o per far cuocere il mosto alla vendemmia.

La potatura è un'arte riservata agli uomini. Spesso però le donne vedove o che hanno i mariti all'estero si cimentano con quest'arte e non sono certo seconde agli uomini.

Bisogna non essere ingordi e lasciare tre tralci e due occhi (gemme) vivi e uno morto (una gemma latente) per ogni tralcio.

“Fammi povero che ti faccio ricco”, si dice della potatura in generale. Questo è tanto più vero per la vigna. Molti tralci e troppi occhi significano molti grappoli che però dalle nostre parti non maturano bene. Ma questo per molti non è un problema. Alla vendemmia bisogna rimettere molti ettolitri di vino; le famiglie sono numerose e l'anno è lungo. Si beve tutto e bevono tutti, donne comprese. Chi può cuoce qualche caldaia di mosto, che, più che aumentare la concentrazione zuccherina, serve per aumentare un po’ la temperatura del mosto nelle botti e accelerare l'inizio della fermentazione.

Sempre chi può, una caldaia di vino la fa bollire, fino a ridurre il vino quasi a marmellata: il mosto cotto. È considerato un toccasana per fare del vinello un buon vino.

Chi non ha niente da fare va a spietrare i terreni o a empire il letame per portarlo alla vigna, agli ulivi o ai terreni dove si vuole seminare le patate. Questo lavoro spesso è riservato alle donne nei momenti di pausa delle attività casalinghe. Spesso di sera, alla luce della lumetta, si riempiono i sacchi del letame. A reggere i sacchi, per tenere la bocca del sacco aperta, quasi sempre ci sono i ragazzi. Il letame viene preso dal mucchio con la forca e fatto cadere nel sacco. Spesso quando la cosa è difficoltosa con la forca e sempre quando si è da soli, i sacchi del letame vengono empiti con le mani. Si legano e la mattina dopo sono pronti per essere caricati sull'asino. O si va di proposito a fare i viaggi o si approfitta di dover andare in campagna per altri lavori. Nessuno va in campagna con l'asino scarico!

Si provvede a verificare lo stato dei pali delle vigne. Se le viti sono sostenute da fil di ferro si sostituiscono i pali danneggiati. I pali sono stati tagliati e preparati durante l'autunno - inverno, sono stati appuntiti per bene sopra il ciocco e spesso sono stati anche scortecciati, in modo da ridurre i danni dei tarli che si annidano sotto la corteccia e poi attaccano anche il legno. I pali vengono infilati nel terreno battendoli con il battipalo di legno.

Si provvede poi a rimettere in tensione il fil di ferro, legato e sostenuto dai pali. Se le viti sono sostenute singolarmente da paletti più sottili, si provvede alla sostituzione di quelli danneggiati e al ripristino di quelli nuovi infilandoli a colpi di maglio. Durante l'anno bisogna essere accorti e capire quali legni da tagliare possono essere riservati per pali e paletti. Chi si trova in difficoltà per il reperimento deve, di straforo e di sera tardi o di mattina presto, procurarseli rubandoli qua e là nelle macchie dei privati e nei boschi comunali, ma è assai rischioso.

Poi le vigne vengono zappate con il bidente. È un lavoro faticosissimo. Le zolle di terra vengono rivoltate e accatastate al centro del filare, a formare un cordone centrale in modo da lasciare parzialmente scoperto il colletto delle viti. In questo modo l'erba, che già inizia a germogliare rigogliosamente, viene rincalzata sotto le zolle di terra e bloccata nello sviluppo vegetativo.


Intanto i mandorli (Prunus dulcis (Mill.) D. A. Webb) stanno lentamente fiorendo. Qualcuno che non è riuscito a potarli in autunno, prova a potarli ora, prima che i fiori si aprano, ma è rischioso per via delle gelate che rallentano la cicatrizzazione. Lo strato di legno morto, specie se il ramo tagliato è di spessore non più piccolo di un braccio d’uomo, è facile preda d’attacco di funghi del legno, che determinano la carie e lo svuotamento dei rami. La carie può estendersi ai rami principali, se non al tronco, determinando un generale scadimento dello stato di salute del mandorlo.

Il rischio carie è ancora più serio nelle piante di ciliegio per potature su rami grossi. Il durame prima è soggetto a cipollatura e poi dà origine a un legno inconsistente, muffito, che si polverizza col tempo. I rami così svuotati dalla carie sono pericolosi, perché integri all'apparenza, alla raccolta delle ciliegie, possono non reggere il peso del raccoglitore o della raccoglitrice.

Se avanza un po’ di tempo si potano e si puliscono fratte e siepi di confine, approfittando del fatto che sono spoglie.

Se il comune ha deciso il taglio di una porzione di bosco per uso civico, tutte le famiglie mandano un loro rappresentante al taglio. Uno o più capisquadra dirigono e coordinano il lavoro. Gli uomini tagliano i cedui a fil di colletto con le accette da taglio ben affilate.

È proibito usare la sega. È infatti opinione comune che, a causa del calore per attrito provocato dallo scorrere della sega, le essenze boschive, acero (Acer pseudoplatanus L., Acer monspessulanum L. subsp. monspessulanum, Acer opalus Mill. subsp. obtusatum (Waldst & Kitt ex Willd.) Gams, maggiociòndolo (Laburnum anagyroides Medik.), roverella (Quercus pubescens Willd subsp, pubescens), faggio (Fagus sylvatica L. subsp sylvatica) e soprattutto carpino nero (Ostrya carpinifolia Scop.) avranno difficoltà a generare nuovi polloni, compromettendo così il taglio fino a 25 anni.

Le donne sono addette a “sramare”, fare i fasci di frasche e fare le cataste di legna e di frasche, una per ogni operaio. Si fanno due tipi di cataste, una più grande per gli uomini addetti al taglio e una più piccola per le donne. Alla fine della giornata le cataste di legna e frasche sono estratte a sorte fra i rispettivi partecipanti, sempre tenendo separate le cataste per gli uomini e per le donne.

Poco importa che alcune donne sappiano usare e usino la roncola e l'accetta meglio degli uomini e che per necessità siano venute loro al posto dei mariti morti o che sono all'estero. “L'accetta in mano mia è come la penna in mano alla maestra”, possono ben dire alcune donne che sono più maschie di molti uomini.

Nei giorni successivi o alla fine del taglio, lunghe carovane di asini, spesso guidate dai ragazzi, provvedono a riportare il paese tutto quel ben di Dio.

A 10 anni i ragazzi e le ragazze sono forza lavoro e solo nelle famiglie un poco più abbienti si può sperare di scampare ai lavori più pesanti.

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