Cinque giochi di gruppo di Franco D. Lalli

Post Ivana Fiordigigli

Con il seguente articolo Franco Dino Lalli ci presenta cinque conosciutissimi e divertenti giochi di gruppo. Qualche amara riflessione la suscita nel gioco "Mondo" la frase di rito "Dichiaro guerra a ...."; In un attimo passiamo da festoso gioco dei bambini a ben altre immagini di una guerra che sta riguardando realmente tanti bambini.



Mondo


Era un gioco da svolgere in un ampio spazio che permetteva di correre liberamente. 



Si procedeva innanzitutto a fare la conta per chi doveva essere nominato capogioco. Egli delimitava un suo spazio, con un cerchio disegnato con un gessetto o con la punta di un bastone sulla terra, che rappresentava la “prigione” in cui faceva mettere chi era fatto prigioniero dopo averlo rincorso e acchiappato. Gli altri, allo stesso modo, predisponevano anch’essi il loro spazio, molto più ristretto, che definiva il loro campo d’azione e che denominavano con il nome di un paese o di una città, ad esempio Assergi, l’Aquila, ecc. 

Il gioco iniziava quando il capogruppo lanciava la sua sfida con la consegna: “Dichiaro, dichiaro guerra a ….” Il bambino con il nome del paese nominato doveva uscire dal suo spazio e mettersi a correre per non essere preso dal capogioco. Se era acchiappato, finiva nella “prigione”, invece se riusciva a ritornare nel suo spazio, era libero. Si procedeva così fino a che non erano tutti presi e condotti nello spazio del capogioco, prigionieri.  Durante la sfida i compagni potevano liberarli dalla prigione se riuscivano, senza farsi prendere, a toccarli e così a renderli liberi.

Al termine, se era deciso, si continuava con le stesse modalità.

Il gioco aveva una similitudine con quello dell’acchiapparella con un giocatore prescelto che, nell’inseguimento, doveva riuscire a toccare uno degli altri giocatori e se ci riusciva egli prendeva il suo posto.

Di questo gioco vi sono numerose varianti tra le quali quelle praticate a Roma sono: il buzzico rampichino, in cui i giocatori che scappano non possono essere catturati se si trovano in piedi su un piano rialzato e il più semplice buzzico dove uno dei giocatori, disposti in cerchio, quando viene toccato da uno di loro che corre girando in cerchio, si "salva" se riesce a riprendere il suo posto. Perderà invece se chi l'ha toccato giunge al suo posto occupandolo prima di lui.




Regina, reginella

Regina, reginella era un gioco per tutti. Si estraeva a sorte tramite le modalità già ricordate chi doveva condurre il gioco. Egli si poneva davanti a tutti per impartire gli ordini. Tutti gli altri si mettevano su una stessa linea a una distanza stabilita e uno per volta chiedeva al conduttore quali e quanti passi, in avanti o indietro, doveva fare per arrivare fino alla sua posizione ripetendo una formula ben precisa: “Regina , reginella, quanti passi devo fare per arrivare al tuo castello con la fede e con l’anello?”.


Chi dirigeva allora esprimeva il suo parere: “Tre passi da leone, un passo da elefante, quattro passi da formica, ecc. o in avanti o indietro”. Se venivano comandati passi da gambero il concorrente doveva tornare indietro. Vinceva chi arrivava prima degli altri alla mèta  che si era stabilita in precedenza e prendeva il posto del conduttore.



Sacco pieno e sacco vuoto



Il gioco del “sacco pieno e sacco vuoto” richiedeva molta attenzione da parte dei partecipanti che dovevano concentrarsi sui comandi che venivano dettati da chi conduceva il gioco. I giocatori si disponevano sulla stessa fila davanti al capogioco che impartiva gli ordini in maniera diversa e anche molto velocemente. I comandi potevano essere: sacco pieno e bisognava rimanere in piedi, sacco vuoto e bisognava abbassarsi piegando le ginocchia, mezzo pieno abbassarsi solo un po’. Chi sbagliava posizione, secondo l’osservazione del capogioco o su suggerimento dei partecipanti, era squalificato. Vinceva chi rimaneva per ultimo e il gioco poteva continuare con il vincitore che diventava il conduttore.
Nello svolgimento del gioco ci si deconcentrava facilmente sia per la fatica dello sforzo fisico, ma anche per le distrazioni che potevano capitare durante le azioni e per la continua variazione nella velocità dei comandi del conduttore che poteva, ad esempio, impartire due o più volte lo stesso comando facendo così confondere chi si aspettava comandi sempre diversificati.



Tre tre giù giù


Si formavano due squadre composte di tre o più giocatori con lo scopo di riuscire a sopportare un peso notevole, per l’età, senza cedere. Una squadra andava “sotto” e l’altra “sopra” e questo ruolo era stabilito dal pari o dispari tra i capitani scelti dalle squadre. I componenti della squadra sotto si mettevano con la schiena piegata e con le mani ai fianchi dell’amico, piegato anche lui, in modo da formare una specie di trenino di bambini curvi. Davanti, accostato al muro o a un albero, si metteva uno di loro che faceva da scudo  per evitare che i compagni andassero a sbattervi.  I componenti dell’altra squadra, a turno, prendevano la rincorsa e saltavano sulla schiena degli avversari cercando di andare il più avanti possibile per fare posto agli altri componenti che avrebbero saltato successivamente. Prima di saltare il ragazzo pronunciava la frase; ”Eccheme, arrive co’ tutti i bicchieri.” per avvisare chi stava sotto e prepararlo a reggere il peso e lo sforzo. Quando alla fine tutti i saltatori si trovavano sulla schiena degli avversari si pronunciava la frase “Tre, tre, giù giù, tre, tre, giù giù, giù giù giù”. I componenti della squadra che si trovava sotto allora dovevano resistere per tutto il tempo e se ci riuscivano toccava a loro saltare e gli altri ad accovacciarsi. Anche i saltatori, comunque, dovevano essere in grado di mantenersi in equilibrio in perfetta sintonia con gli altri compagni per non pregiudicare l’esito del gioco.


https://upload.wikimedia.org/wikipedia/it/thumb/9/98/Cavallina.jpg/220px-Cavallina.jpg


Quei pochi secondi sembravano interminabili sia per coloro che dovevano sopportare sulla schiena il peso dei compagni, sia per chi doveva compiere lo sforzo di rimanere stabile e in equilibrio su di essi. Per ognuno valeva comunque la pena di tale impresa proprio per mettersi alla prova e manifestare la propria forza e il proprio coraggio. Tre-tre-giù-giù



Un, due, tre,  stella




Deciso chi doveva condurre il gioco egli doveva mettersi vicino ad un muro mentre gli altri giocatori ad una certa distanza sulla stessa linea di partenza. Il conduttore, di spalle ai giocatori, doveva coprirsi gli occhi e dava il via con la formula: “Un due, tre, stella!” mentre gli altri cercavano di avvicinarsi al muro. Alla pronuncia della parola stella dovevano rimanere perfettamente immobili come statue perché, di scatto, il guidatore si voltava e, se scovava qualcuno che si stava ancora muovendo, lo faceva tornare indietro al punto di partenza. Chi riusciva a raggiungere il muro senza farsi “beccare” prendeva il ruolo del conduttore e il gioco proseguiva.

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