Sant’Agata

 Post di Ivana Fiordigigli

Non possiamo che completare con Santa Agata il quadro delle tradizioni, legate agli ultimi freddi giorni di gennaio ed ai primi di febbraio, raccontate da Franco Dino Lalli. 

Così recita la conosciuta filastrocca popolare, scandendo le festività dei primi giorni di febbraio:

Aji ddù la Ncannelòra,
aji tre Sante Biasciòla,
aji quattre nacquobella,
aji cinque Sant’Agata bella.




 Sant’Agata 


di Franco Dino Lalli


Sant’Agata è stata una delle martiri cristiani più venerate dell'antichità cristiana. E’stata martirizzata all’incirca verso la metà del III secolo d. C. e non si possiedono notizie certe perché la Passio Sanctae Agathae, risalente alla metà del V secolo, anche se contiene elementi storici è soprattutto una narrazione edificante. 

Secondo questa Passio la Santa era di una famiglia nobile e ricca di Catania. Fu educata cristianamente dai genitori e aveva fatto il voto di verginità. 

Il proconsole di Sicilia Quinziano, non riuscendo a conquistarla, la obbligò a sottoporsi alla custodia di una matrona, Afrodisiaca donna di facili costumi, affinché acconsentisse ai suoi voleri. Ma Agata era restia. Quinziano allora la convocò in tribunale accusandola di vilipendio alla religione pagana. Agata si presentò vestita da schiava asserendo che la più alta nobiltà era quella della schiavitù di Cristo. 

Fu interrogata ancora e fu sottoposta alla tortura: le stirarono le membra sull’eculeo, la straziarono con pettini di ferro, fu scottata con lamine infuocate. Infine le furono strappate i seni con grosse tenaglie. Quest’ultima tortura generò il suo attributo più popolare. Viene, infatti, raffigurata popolarmente con le mammelle poste su un piatto e le tenaglie o raffigurata mentre le sono strappate o tagliati i seni. L’episodio ha ispirato il suo patronato sulle puerpere che soffrono alle mammelle e l’usanza della preparazione, per il giorno della festa, di pani a forma di seno come doni votivi. 

Si narra sempre, nella Passio, che, ricondotta in carcere ebbe l’apparizione dell’apostolo Pietro insieme con un bambino porta lanterna che le risanò la mammella amputata. In seguito Agata, ricondotta in tribunale, testimoniò ancora una volta la sua fede ostinatamente e così fu condannata a essere arsa tra cocci e carboni ardenti. Mentre la santa stava bruciando, si scatenò un fortissimo terremoto che seppellì due carnefici e il popolo, colpito dall’evento, insorse e invase il luogo del martirio. Quinziano così la fece trasferire in carcere e lì morì. Secondo la tradizione era il 5 febbraio 251 d. C. 

L’anno seguente, il 5 febbraio, ci fu un’eruzione dell’Etna che minacciò Catania. Molti si recarono al sepolcro della martire e lì presero il velo che la ricopriva e lo opposero alla lava che miracolosamente si arrestò. 

Da allora Agata divenne la patrona di Catania e anche la protettrice contro le eruzioni e contro gli incendi. 

Nel Duomo di Catania sono custodite le sue reliquie in una cassa argentea goticheggiante e anche il suo busto d’argento. 

Ancora un’altra volta, nel 1886, la santa salvò Catania da un’eruzione che minacciava la città grazie al velo che il vescovo portò fino alla colata di lava che, miracolosamente, si fermò. 

Una leggenda narra che a Catania, nella Chiesa del Santo Carcere nella quale il proconsole cercava di far cedere alle sue voglie la santa, si trova l’orma di un suo piede che ella batté innervosita ribadendo che sarebbe stato più facile che si rammollisse la pietra che non il suo cuore ai suoi desideri. 

Un'altra leggenda è stata attribuita a Sant’Agata del tutto simile a quella di Penelope. La santa, infatti, si narra, che promise a Quinziano di sposarlo non appena avesse terminato la tela che stava tessendo. Di notte, però, lei rompeva tutto il lavoro del giorno. Sembra non veritiero il ruolo di tessitrice ma questo potrebbe essere paragonato al simbolismo delle dee che filano e disfano il tessuto della vita e al mito della Grande Madre che è all’origine di tutto e che tutto riaccoglie durante il ciclo della vita e del tempo. 

Il Culto di Sant'Agata è ancora sentito e praticato in diverse località abruzzesi 

A Castelvecchio Subequo (AQ) si trova una fontana medievale trecentesca, di fronte alla piccola chiesa di S. Agata del 1114, che è alimentata da una copiosa sorgente. Nella chiesa si può ammirare un affresco cinquecentesco della santa con i simboli del suo martirio tenuti in mano. La presenza della sorgente e i resti, nelle vicinanze, di due acquedotti romani fanno supporre l'esistenza in epoca romana di un complesso termale. La presenza di tanta acqua induce a credere che nel luogo, a scopo sacrale e terapeutico, si praticassero rituali idrici che la tradizione popolare ha perpetuato fino ai nostri giorni nella credenza che l'acqua sia miracolosa e nel culto di S. Agata legato al “culto del latte”. Alla fine del XIX secolo le donne facevano abluzioni con quest’acqua, detta, per l’appunto, di Sant’Agata e ancora oggi, nel paese, il 4 e il 5 febbraio e il 20 agosto si celebrano le feste dedicate alla Santa. La statua della Santa è custodita nella chiesa di San Francesco ed è portata in processione, durante la festività, unicamente dalle donne. Era in uso la devozione di consumare dei pani a forma di seno femminile bagnati con l’acqua, considerata miracolosa, della Fonte di Sant’Agata. Il prodotto da forno di Sant'Agata è un pane sacro espressione della tradizione e della fede popolare, la cui preparazione risale a tempi immemorabili. 

Antonio De Nino nel suo Usi, costumi e tradizioni racconta che un tempo le donne incinte e le puerpere facevano delle abluzioni con l’acqua della sorgente invocando la santa che non facesse loro mancare il latte per la prole. 

I pani sono preparati sia salati che dolci, sono impastati con farina di grano tenero della varietà locale “Solina” macinato a pietra, patate, lievito naturale di pasta acida, olio, zucchero (oppure sale), uova, semi di anice e patate lessate. 

Lungo la via Comunale Torricella Peligna-Roccascalegna (CH) è stata costruita la Fonte Sant’Agata nei pressi dell'omonima chiesa, che risale alla fine dell'Ottocento dai devoti a Sant'Agata. È chiamata anche "Fonte delle Sese" (in italiano "Fonte delle Tette", "Fonte del Seno Femminile") per via che la santa è patrona contro le malattie del seno, per questo era frequentata anticamente dalle donne di Torricella Peligna che erano carenti di produzione di latte o per le affezioni al seno. 

Nell'ultimo ventennio dell’Ottocento, le puerpere di Roccascalegna, secondo quando riportato da Gennaro Finamore, per riavere il latte andavano a bere l’acqua della fontana di Sant'Agata: “[…] dove fu già una chiesetta rurale dedicata alla Santa. Per via, o lì presso, deve dare a qualche povero un pane o un soldo. Giunta alla fonte, deve mettere nell'acqua dei chicchi di nove specie di legumi e una monetina. Nel tornare indietro deve battere una via diversa da quella fatta nell'andare, e arrivata nel paese prima di rientrare in casa, deve accattare un po’ di farina in nove case diverse; farne lasagne, e queste, senza condimento di sorta, far mangiare ai poveri o anche ad altre persone, che passassero davanti all'uscio di casa sua, riserbando per sé il solo brodo. ( Finamore G., Tradizioni popolari abruzzesi, Adelmo Polla Editore, pp. 165-166 

La devozione per la Santa catanese era ancora viva negli anni sessanta del secolo successivo come si desume dalle parole del Paoletti: “qui vengono le donne che non hanno latte, perché questa è la fontana di S. Agata che è “padrona” del latte. Prendono l’acqua e la portano a casa per bere e per fare lavaggi al petto e il latte subito ritorna. Però nel tornare devono fare una strada diversa da quella che hanno fatto quando sono venute e non devono fermarsi con nessuno. Una volta bisognava pure che mettessero nella fontana dei fagioli o dei ceci quando prendevano l’acqua, ma ora non è più “necessario”: Paoletti I., Documenti e tradizioni di medicina popolare in Abruzzo (2ª parte), «Rivista Abruzzese», Lanciano, 1963, n. 4, p. 7. 

Emiliano Giancristofaro, alla fine degli anni Settanta, riporta una testimonianza rilasciata da una donna di Villa Santa Maria (CH): “Per far ritornare il latte la puerpera deve cercare a sette donne del vicinato la farina con la quale deve fare la pasta (le sagne) senza sale e senza olio; quindi deve invitare a mangiare tutte quelle persone che le hanno dato la farina, riservandosene una parte; poi deve andare a Sant’Agata, pregarla strisciando sulle ginocchia (a strascinune li ginocchie), prendere dalla fonte un po’ d’acqua e ammassarci la farina restante per farne le sagne da mangiare: il latte ritornerà. La preghiera da fare alla santa è: 

«Sant’Agata benedette, famme riverii’ lu latte pe’ stu citele (bambino) me e je puzz’avanzà che le pozza da a tutte lu vicinate»

(Giancristofaro E., Totemájje. Viaggio nella cultura popolare abruzzese, Lanciano, Rocco Carabba Editore, 1978, p.186) 

Ancora oggi a Roccascalegna rimane il ricordo di quando si andava a piedi a prendere l’acqua di Sant'Agata per far ritornare il latte alle vacche. L’acqua era usata per impastare le “sagne” che venivano fatte mangiare a cinque-sei persone del vicinato e, come ci racconta una donna del luogo, “il latte tornava per davvero”.

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