Lavandaie al fiume

Post di Ivana Fiordigigli

E' trascorso un anno; il 12 febbr 2021 sul nostro sito con il progetto LABORATORIO DELLE MEMORIE abbiamo inteso portare avanti una ricognizione della cultura materiale in Assergi e immediati dintorni come un’azione conoscitiva ed articolata della realtà locale e come luogo di incontro, per poter restituire una immagine del patrimonio culturale esistente, per poter approfondire la conoscenza di problemi legati al proprio ambiente. La nostra convinzione  di partenza era che tale laboratorio poteva diventare quasi un processo di riconquista e rigenerazione delle "radici", che sono poi l’eredità culturale che ci portiamo dietro.
Attraverso la memoria, sia personale, sia collettiva, siamo andati a rivangare ricordi, recuperare e prendere coscienza di esperienze, successi o insuccessi del passato per meglio leggere e capire il presente, assumendo di volta in volta il ruolo di narrazione e custodia dei ricordi.
Attraverso il processo laboratoriale abbiamo conosciuto o riscoperto tante cose, condiviso esperienze, recuperato sensazioni e tracce del passato, in un percorso di cooperazione, valorizzazione e crescita.
Si è parlato del passato, ma accuratamente evitando la vuota retorica, anche se l'intento rievocativo è importante per conoscere, riflettere, razionalizzare, capire gli eventi di ieri ma anche quelli di oggi.
Franco Dino Lalli con il seguente articolo propone un interessante percorso di rilettura della realtà del paese di Assergi attraverso la conoscenza e analisi di una particolare esperienza pittorica e artistica, quella di Annunziata Scipioni.




Lavandaie al fiume

di Franco Dino Lalli

È intenzione attuare, all’interno del progetto “Laboratorio della memoria”, un percorso che ha due finalità ben precise: far conoscere ed apprezzare l’opera della grande pittrice di Azzinano, Annunziata Scipione, che ha onorato e onora con la sua arte e con la sua poesia la memoria della civiltà agro-pastorale e, grazie a questo suo contributo, rintracciare e descrivere momenti significativi della vita sociale, lavorativa e delle tradizioni del nostro paese.

Attraverso la sua opera così ci addentriamo in un mondo che oggi ci è quasi sconosciuto ed intendiamo, pertanto, riscoprire e rivalutare la nostra memoria che per certi versi è ora tradita dall’oblio dei tempi attuali.

Si ringrazia sentitamente il figlio della pittrice, Piero Di Pasquale, che ci ha concesso l’utilizzo delle immagini.



Annunziata Scipioni, Lavandaie al fiume, 1978, olio su tela, 60 x 80 cm.

Annunziata Scipione, in questo suo dipinto, grazie alla sua sensibilità, ha intrecciato un tessuto narrativo poetico e sognante per offrire la descrizione delle donne intente in un lavoro faticoso, icone della fatica ancestrale che le vedeva protagoniste.

Il quadro appare quasi come una vetrata di una cattedrale naturale con gli alberi in primo piano che sembrano come un sipario che, con discrezione, si apre ad una rappresentazione quasi religiosa del lavoro delle donne. Oltre appare un fondale fiabesco nel quale agiscono figure che si muovono con una magia particolare nei loro atti dovuti: i gesti per il bucato, la torcitura dei panni, la stesura di essi sulle erbe per l’asciugatura.

Ogni gesto ci sembra, grazie ai colori e alle movenze delle protagoniste, come una sacra recita vissuta collettivamente, agita con una devozione intensa che ci comunica poeticamente tutto il rispetto e la cura di una tale fatica, anche attraverso la trasparenza e la delicatezza della partitura cromatica che la pittrice ha voluto infondere al quadro.

Anche in altri due quadri la Scipioni torna a parlare delle lavandaie al fiume; questa volta sono viste in una prospettiva più ravvicinata:


Annunziata Scipioni, Lavandaie al fiume, 1972.



Annunziata Scipioni, Lavandaie al fiume, 2000.

In Assergi, un tempo ormai dimenticato, non c’erano lavatoi che potevano essere utilizzati per lavare i panni, ma solo abbeveratoi per gli animali e nemmeno a pensarci nessuno aveva ancora a disposizione la lavatrice. Per lavare i capi di abbigliamento più piccoli le donne usufruivano dei lavandini delle case o delle fontanelle che si trovavano in alcune piazzette del paese.



Laurina Giannangeli lavandaia alla fontanella (Foto di Franco Dino Lalli).

Per i capi più grandi, lenzuola e altro, erano costrette, con il bello o cattivo tempo a recarsi al fiume che scorre nella valle ad ovest del paese per trovarsi lungo le sue rive un posto adatto allo scopo. Lì cercavano di risciacquare e rendere più puliti e chiari i capi che precedentemente erano stati schiariti dalla “bucata”, cioè dalla lisciva. Il procedimento consisteva nel far bollire i panni in un pentolone dove veniva aggiunta una certa quantità di cenere mondata dalle impurità che aveva proprio la funzione di sbianchire lenzuola e quant’altro.

Erano due i posti per lavare i panni scelti lungo il percorso del fiume: uno a “pèje la valla” e un altro, più sopra, “a rive”. Là le donne potevano accomodarsi lungo le sponde del fiume, utilizzare la tavola portata da casa o scegliersi e utilizzare la “schiazza”, la pietra adatta che sporgeva dalla riva, dove lavare i panni.

L’incedere lento delle donne che si incamminavano verso rive, con le tavole dei panni da lavare sulla testa e un pezzo di sapone fatto in casa, appariva come una processione laica, solitaria, a volte di gruppo, senza simulacri se non l’occorrente per il lavoro, la necessità devozionale dell’impresa e la speranza della buona riuscita. Il peso sulla testa era ammortizzato dal cercine ricavato da una sparra arrotolata.

Appena fuori del paese, prima di incamminarsi lungo la discesa della “costa del mulino” per arrivare a “rive”, presso la porta del rio, rimasta solo nel ricordo, le donne rivolgevano lo sguardo e una preghiera sommessa all’immagine della Vergine che si trova nella chiesetta dedicata alla Madonna del Carmine posta al bivio di due strade, una che conduce verso il fiume, l’altra che conduce verso la porta del colle.

Così ci si avventurava lungo il percorso che si preannunciava lungo e faticoso sia per il peso sulla testa che per la difficoltà del percorso reso a volte impraticabile per le numerose crepe del terreno provocate dalle piogge. Le donne, quindi, dovevano fare notevoli sforzi per tenere in equilibrio la tavola sulla testa ed evitare rovinose cadute.

Costeggiavano “u carvonare”, cioè l’immondezzaio del paese, dove si gettavano i rimasugli della brace che non erano utilizzati, ma anche, impropriamente, rifiuti di ogni genere. Il termine era stato coniato proprio per evidenziare questa sua finalità. Lateralmente, quasi a voler diffondere un decoro impossibile, si ergeva un sambuco maestoso che in piena fioritura cercava di mitigare le sgradevoli emanazioni che provenivano da quel luogo.

Il percorso proseguiva fino ad arrivare dove c’era la svolta delle strade: una conduceva al mulino, l’altra al fiume. Su un pianoro laterale alla svolta le donne si riposavano un po’. Poggiavano la tavola dei panni, si avvicinavano alla finestrella della chiesetta della Madonna del Mulino (o della svòta), abbandonata al suo lento declino, e salmodiavano preghiere rivolte al grazioso affresco, in una piccola nicchia, della Madonna col Bambino che con il tempo si deteriorava a poco a poco. Poi riprendevano il cammino che si preannunciava breve.

Finalmente dopo un sentiero ombreggiato da alberi e cespugli che offrivano ristoro durante l’afa estiva con i loro rami, si giungeva alla vista della riva dove si sarebbero poste al lavoro. Sul fango delle rive le attendeva una miriade di farfalline celesti che volteggiavano, si fermavano e poi volavano come per comunicare la gioia di un tempo senza tempo.

Erano di un celeste così intenso che sembrava come se il cielo si fosse spezzettato e caduto sulla terra, così vivo da lasciarne un ricordo indelebile. Era l’aiuto alla fatica delle donne che, inginocchiate sulla riva del fiume lavavano i panni, poi li risciacquavano, li strizzavano e li stendevano al sole per farli scolare e asciugare un po’ sui cespugli nella costa prospicente il fiume.




Donne al fiume ad Assergi ("A Rive").

Durante il lavoro c’era un’atmosfera di convivialità e di socialità nel gruppo. Le donne scambiavano pettegolezzi, si veniva a conoscenza delle varie novità del paese e qualche volta ci scappava anche qualche cantata insieme. Erano dunque quelli i pochi momenti di spensieratezza che la vita quotidiana consentiva.

Il ritorno al paese, una volta trascorso il tempo necessario al disbrigo di tutte le incombenze necessarie, era ancora più faticoso, sia perché si intraprendeva la salita della costa per tornare a casa con sulla testa i panni, ancora non del tutto asciutti, che pesavano di più sia perché la fatica accumulata si faceva sentire. Ma sul volto delle donne traspariva comunque una certa soddisfazione e gratificazione. Infine, il bucato era steso per potersi asciugare completamente ai raggi del sole e all’alito del vento che venivano in soccorso delle donne, uniche protagoniste di un lavoro così impegnativo.

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