Il sapone fatto in casa

 Post di Ivana Fiordigigli

Con il seguente articolo di Franco Dino Lalli proseguiamo nella conoscenza e analisi della particolare esperienza pittorica e artistica di Annunziata Scipioni. Anche questo quadro è altresì l'occasione per un percorso di rilettura della realtà di Assergi in tempi ormai trascorsi e diventati ricordo.



Il sapone fatto in casa

di Franco Dino Lalli


Annunziata Scipione, Sapone fatto in casa, olio su tela, 80 x 60, 1982


Lettura del quadro

Il rituale della produzione del sapone è rappresentato dall’autrice nei minimi particolari con una pertinente ricchezza sia nel descrivere i ritmi del lavoro che nei colori: il fuoco acceso sotto il pentolone che serve con le fiamme vive a far addensare gli ingredienti necessari, la schiuma che in superficie si spande in cerchi concentrici ed emana un odore caratteristico, acre e pungente, ma caldo e confortante per la buona riuscita del prodotto, una donna che ravviva il fuoco con sagacia, un’altra che su un piatto controlla se il sapone si rapprende mentre chi si occupa di mescolare il contenuto del pentolone saggia che tutto si sia veramente sciolto, non ci siano grumi e se ci sia bisogno di aggiungere altra soda o lisciva perché ciò avvenga. Una bambina con una fascina e un’altra con un secchio con l’acqua arrivano in aiuto. Altri particolari si aggiungono per rendere viva la scena: galline che razzolano, un cane che passa ed annusa, sui pioli di una scala un uomo si arrampica su un albero per controllare che il cesto delle mele sia stato riempito mentre un ragazzo controlla dall’alto. Sullo sfondo un grande covone di fieno campeggia con la sua possanza mentre si scorge in lontananza un carretto fermo con uomini che probabilmente discutono tra di loro. Il paesaggio, vivido, offre una sensazione di calore mentre gli alberi sono i muti testimoni di un tempo e di uno spazio quasi rarefatto.

La pittrice offre dunque uno spaccato denso di coralità, di partecipazione e di calore grazie alla sua fervida memoria che risulta piena di particolari che contribuiscono a fornire una rappresentazione non priva di emozioni. Così possiamo appropriarci di ricordi che differentemente sarebbero svaniti e perduti nell’oblio.


Il sapone fatto ad Assergi

Le donne preparavano il bucato, che poi andavano risciacquare al fiume, con la lisciva (la “bucata”) che veniva preparata mettendo in una tinozza o un pentolone i panni a mollo con la cenere di quercia, di mandorlo, ecc. filtrata con acqua bollente e con un panno. I panni rimanevano in ammollo, sommersi da questo composto per tutta l’intera notte. Se la cenere fosse stata scadente sarebbe accaduto che i panni non avrebbero avuto il candore desiderato.

Per lavare, ovviamente, occorreva disporre del sapone che un tempo non si acquistava ma si procedeva a farlo direttamente in casa. Il procedimento della produzione del sapone casalingo occupava varie fasi che potevano durare vari giorni stando attenti a non compromettere il risultato finale sbagliando il dosaggio degli ingredienti. Inizialmente si predisponevano tutti: il caldaio dove far sciogliere e coagulare il sapone, la legna necessaria, i grassi animali e anche ossa di animali che risultavano lo scarto tenuto in casa per l’occorrenza e la lisciva preparata a base di cenere che se non fosse risultato efficace si sarebbe predisposto a sostituirla con la soda caustica. Con quest’ultima s’otteneva un sapone duro e anche un po’ irritante, ma sicuramente efficace per la pulizia dei capi.

Si poneva dunque la miscela nel caldaio che veniva fatta bollire per parecchie ore stando attenti a girarla continuamente con un bastone che facilitava l’amalgama e anche per evitare la fuoriuscita del liquido dal caldaio. Ogni tanto si prendeva dal caldaio un po’ del miscuglio che si faceva cadere su un piatto per provare se il sapone si rapprendeva e se quindi si stava procedendo bene nella preparazione. Chi girava il bastone nel pentolone provava anch’esso l’amalgama perfetto del composto, altrimenti si procedeva ad aggiungere o più lisciva o più soda.

Una volta terminato positivamente tutto il processo, l’amalgama ottenuto si versava in dei contenitori di latta dove si sarebbe riappreso e solidificato, posti nelle cantine o in altri spazi per qualche mese. Ogni tanto ci si preoccupava di andare a controllare il processo di solidificazione e si tastava l’effetto introducendo un fuscello di legno per controllare l’interno se era ancora morbido o si era indurito abbastanza.

Una volta terminata la fase dell’essicazione il blocco di sapone veniva estratto dai bidoni e con un coltello affilato si procedeva al taglio dei pezzi più o meno grandi che potevano essere così utilizzati.

Il risultato della produzione era un sapone non certo raffinato come quelli che vediamo in commercio attualmente bensì di forma irregolare, quasi cretosa, di un colore variegato che variava dal bianco al grigio e tendeva al marroncino chiaro, dall’odore acre e penetrante, ma nell’utilizzo molto efficace per la pulizia dei capi.

La reazione che avveniva durante il processo era una vera e propria trasformazione della materia: in un liquido come l’acqua, la base alcalina rappresentata dalla soda caustica (o idrossido di sodio) reagiva con acidi deboli, il gasso animale e vegetale. Bisogna anche osservare che durante il processo di saponificazione la soda caustica si neutralizzava e si disperdeva completamente e il sapone ottenuto, anche se risultava un po’ irritante, non ne conteneva. Comunque, la soda caustica poteva essere sostituita con la lisciva, che usavano un tempo le nostre nonne, che si ricavava dalla cenere del legno e anch’essa, nel prodotto finale non era più presente.

Questa capacità di trasformazione di materiale di scarto in materiale d’uso e necessario era una forma d’arte, di arte empirica, semplice, ma efficace. Era soprattutto una delle tante forme d’arte esperienziali del riciclo che oggi è così auspicata ma così difficile da realizzare.

Commenti

  1. il sapone veniva prodotto con la reazione chimica dell'idrolisi basica degli esteri.
    Cosa sono gli esteri?
    sono i grassi, i quali grassi a loro volta sono composti da acidi grassi superiori, quali il palmitico oleico stearico, ricinoleico o olinoleico, che sono acidi organici con media-lunga catena carboniosa, più o meno insatura, aventi il gruppo funzionale COOH
    Quando questi acidi, a livello del gruppo COOH reagiscono con un alcool, che ha il gruppo funzionale OH, si legano in una reazione detta appunto di esterificazione, liberando una molecola di acqua.
    L'alcool che compie la reazione di esterificazione con gli acidi organici, suddetti è la glicerina, ovvero un alcol con tre funzioni alcooliche, detto anche triolo.
    cosa è quindi un sapone?
    E' il sale sodico o potassico(nel caso di utilizzo della soda NaOH sodico) degli acidi superiori che si sono idrolizzati dalla glicerina.
    Pertanto un sapone, in forma generica è: C15H32COONa.
    Perchè il sapone scioglie lo sporco e in particolare il grasso?
    Perché queste molecole di sapone, si conformano a raggiera, con la parte carboniosa, quella dei gruppi CH3 o CH2 o CH , che è anfotera, ovvero non si discioglie in acqua posta all'interno di quella definita e le parti acide (COONa) all'esterno, verso l'acqua, in modo da stabilire rapporti chimici con il grasso, che così viene deterso
    nella pratica della produzione di una volta, si usava quale addensante la pece.
    La reazione doveva avvenire per mezzo del calore perché la reazione di idrolisi è enoergonica , con l'uso della soda, proprio perché la reazione avviene in ambiente basico. Occorreva conoscere le dosi dei rapporti grasso (esteri) con la soda, anche se la reazione che ha una sua specifica stechiometria, qualora fosse predominante la soda nello specifico rapporto stechiometrico, comunque non reagendo era facilmente allontanabile dal sapone, quale agente chimico non combinato. Però la sapienza contadina aveva ben chiare le proporzioni. E' bene ricordare che il sapone è stata forse una invenzione dell'uomo, dopo quella della produzione dell'alcool.

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