4 - Giochi di bambine e ragazze di Giancaterino Gualtieri

Post di Ivana Fiordigigli





 Giochi di bambine e ragazze

di Giancaterino Gualtieri




A saltelli o a sassetti...    (A campana) (A cianchìtte o a verìcche).  


È il classico gioco femminile di remota origine, comunemente chiamato campana. E’ così conosciuto che è inutile darne le regole. 

Il nome sanbenedettino nasce dal fatto che nel passare saltellando da una casella all’altra la ragazza deve raccogliere un oggetto, che nel caso nostro è una liscia pietra di fiume (verìcca) della grandezza e forma di un uovo (desiderio di ogni ragazzina che le mamme soddisfano quando vanno a lavare i panni a fiume a Popoli).





Vularèlla mòia de Róma .                                Coccinella mia di Roma.


Vularèlla mòia de Róma                            Coccinella mia di Roma

sàcceme a ddìce andó stà gli’améure.       sappimi dire dove sta l’amore.


Presa delicatamente fra le dita una coccinella (Coccinella septempunctata L.) e messala sul palmo della mano, le ragazze per gioco recitavano la strofetta, mentre la coccinella si apprestava a spiccare il volo. 


Dalla direzione del volo della coccinella si determinava dove stava l’amore vero o sognato della ragazza: all’Aquila, a Sulmona, a Roma, a Milano, all’America.









Cummà é cuàtte le pàne?                                             Comare è cotto il pane?


Due squadre di ragazze si mettono in fila una di fronte all’altra. Si tira a sorte (si fa la conta) quale squadra deve iniziare. Una ragazza della squadra estratta si rivolge a una ragazza dell’altra e chiede:


« Cummà é cuàtte le pàne? »                            “ Comare è cotto il pane?”

“Miàzze crìude i miàzze abbruscète.”              “Mezzo crudo e mezzo bruciato.”

“Chi gli’à  ‘bbruscète?”                                   “Chi la ha bruciato?”

“Gli à ‘bbruscète ...”                                        “Lo ha bruciato...”


(viene chiamata una persona, ad es. Maria, di una delle due squadre, non necessariamente della squadra avversaria)

Tutte le ragazze cantano:

“Maria passa le pene

con le catene

si legherà, si legherà.”


La persona nominata viene messa fuori in penitenza dietro la fila con le mani intrecciate come fosse in catene. 

Tocca all’altra squadra e viene così messa fuori un’altra ragazza. Ad una ad una le ragazze vengono messe fuori. Si evidenziano così piccole rivalità, dispettucci, antipatie perché è chiaro che la persona che chiama cerca di mettere fuori chi le è più antipatica. 

Vincono le due ragazze che rimangono per ultime e/o una squadra se le due ragazze fanno parte della stessa squadra.





La bella portinaia.


Si fa la catena a due squadre affacciate. Poi la prima squadra chiede cantando:

“La bella portinaia

apriteci le porte.”


Risponde la seconda squadra:

“Le porte sono aperte

per chi vuole entrar.”


Prima squadra:

“Vuole entrar la mia figliuola 

ma ha paura di monsignore.”


Seconda squadra:

“Monsignore è andato a caccia 

per la via della ramaccia.

Entra entra chi vuole entrà

la più brutta resterà.”


La ragazza chiamata passa a far parte della catena della seconda squadra. La prima squadra cerca però di non fare uscire dalla propria catena la ragazza “bella” per aggregarsi all’altra squadra, facendo una specie di muro umano. 

Il gioco si ripete, ma chiama l’altra squadra.

 

Perde chi rimane ultima di ogni squadra, che deve subire l’onta di sentirsi la “brutta” di turno.

Anche in questo gioco si evidenziano così rivalità, dispettucci, antipatie e… cattiverie, con propositi di vendetta e rivincita in attesa del prossimo gioco.





Comare dammi una cipolla. (Cummà dàmme na cipólla)                                      


Si fanno due lunghe catene appaiate con le ragazze una di seguito all’altra, come per mùsse de puàrche (salta la mula). La ragazza che apre una fila cerca di attaccarsi a qualcosa di solido, tipo un palo della luce, la maniglia di una porta etc. Si tira a sorte la squadra che deve iniziare. La ragazza capofila dice alla capofila dell’altra squadra:


Cummà dàmme na cipólla.”                                       “Comare dammi una cipolla.”

Và a gli’uàrte i vvìde se la puà cavà.”                       “Vai all’orto e vedi se la puoi cavare.”


L’ultima ragazza della fila che chiama si stacca e si mette a tirare l’ultima ragazza della fila avversaria. La fila non si deve interrompere e sia la ragazza presa di mira sia tutte le ragazze della sua catena cercano disperatamente di resistere. Se la ragazza o più ragazze della fila si staccano vengono messe fuori dal gioco.

 

A quel punto la capofila che è riuscita a staccare una o più ragazze dice alla capofila dell’altra squadra:


Ècchè me l’é pigglièta.”                                      “Ecco, l’ho presa.”

I vvà bbóna. Tiàtela. ”                                         “E va bene. Tienitela.”

risponde la ragazza capofila avversaria.


Il gioco si ripete, ma tocca stavolta all’altra squadra chiamare.

Si ripete il gioco fino a che tutte le persone di una fila non vengono staccate. 

Vince la fila di cui rimane qualche persona della catena.





A campo d’orologio. (A ccàmpe d’allòrge)                                           


Si fa un circolo e una persona rimane fuori 

Chi sta fuori tocca una persona: la persona toccata e chi l’ha toccata corrono in verso opposto per cercare di rientrare per primo nel posto lasciato vuoto. 

Chi rimane fuori ripete la procedura.





Monaca e frate. (Mòneca i fràte)



(CanosaWeb - Il gioco dell'indovinello dei papaveri)


In primavera inoltrata i papaveri (Papaver rhoeas L.) stanno fiorendo. I boccioli turgidi, ma ancora chiusi, stimolano le innocenti fantasie sessuali di ragazze e giovanette. 

Il gioco è semplice. Ognuna coglie un bocciolo di papavero. Basta schiacciarlo fra due dita e il bocciolo si apre presentando i petali rossicci o ancora biancastri.

Mòneca grida ridacchiando una ragazza quando il papavero mostra i suoi petali bianchi e fràte grida un’altra ragazza quando il suo bocciolo mostra i suoi petali rossi. 

Mòneca i fràte, mòneca i fràte è il coro scherzoso e ammiccante che la compagnia di fanciulle fa suo all’indirizzo delle due fanciulle e ripete fino a quando il riso generale non interrompe il giochetto, pronto a ricominciare con un’altra coppia di eccitate ragazze. 

Nell’immaginario popolare frati e monache soddisfano fra loro i desideri sessuali, come in qualche strofetta ripetuta ad arte da qualcuna durante il gioco:


Se mòneca te fé fràte me fàcce,                           Se monaca ti fai frate mi faccio (1),

ti puàrte la cuèlla i iù gliù làcce.                              tu porti la boccola ed io il laccio.


strofetta confusamente interpretata da qualcuna più innocente e correttamente interpretata da qualcuna più birichina. 

Il gioco si fa tenendo fuori tiro i maschietti, i quali da lontano giocano pure loro a monaca e frate gridando all’indirizzo delle ragazze e spesso mimando l’atto carnale fra risate e sberleffi. Va da sé che spesso le ragazze, un po’ per scherzo e un po’ per ritrosia, prendano a sassate i maschietti, svelti a schivare le pietre debolmente lanciate.


(1)   Ad es.   Cielo d’Alcamo in “Rosa fresca aulentissima…” 

        “…Se tu consore arènneti, donna col viso cleri

         a lu mostero vènoci e rèndomi conflero…” 

        “…Se tu diventi consorella (monaca), donna dal viso luminoso,

         vengo al convento e mi rendo un confratello (frate)…”


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