11 - Giochi: Giochi in piazza

Post di Ivana Fiordigigli

Con l'articolo "Giochi in piazza" termina la pubblicazione dei giochi di una volta presentati e descritti con sottile ironia e con una vena di nostalgia da Giancaterino Gualtieri.





Giochi in piazza

di Giancaterino Gualtieri



Nel pomeriggio delle feste patronali i procuratori, dopo il rituale giro di banda, se i proventi della festa sono stati sostanziosi, organizzano qualche gioco in piazza. Sono sempre gli stessi, ma fanno sempre effetto sugli adulti come sui bambini. 




a) Gli spaghetti (gli spaghétte).


Il più comune è quello di riuscire a mangiare nel più breve tempo possibile un piattone di spaghetti con le mani legate dietro la schiena. Va da sé che pepe e peperoncino si sprecano.

Ma lì sta il bello e il divertimento: le facce paonazze ricoperte di sugo, gli occhi fuori per l’amaro dei peperoncini, i grugniti e gli schiocchi, gli spaghetti che scappano da tutte le parti. 

E alla fine della gara i concorrenti che si buttano su un mastello (na tùna) pieno di acqua per cercare di lenire il terribile bruciore del peperoncino (gli papariggliùcce).




b) La padella (la fresséura).


Altro gioco di prammatica è quello di riuscire a staccare con i denti, sempre con le mani legate dietro la schiena, una moneta attaccata con la pece sul didietro di una padella (na cìnche lìre appiccichèta a na fresséura) ben annerita dal fuoco e appesa ad una corda. 

Dopo qualche tentativo la faccia del concorrente ha il colore della padella e spicca solo il bianco degli occhi. Sotto i morsi disperati la padella scappa da tutte le parti e le risate e gli sghignazzamenti degli spettatori vanno di pari passo con i ripetuti tentativi a vuoto. 

Il premio è appetitoso, cinque lire prima della guerra o mille lire dopo gli anni cinquanta. 

Perciò oltre qualche ragazzotto o giovanotto intraprendente e scanzonato, ci provano anche altri, magari mettendola sul ridere per non darla tanto a vedere. E’ che le cinque lire o le mille lire sono il salario di una giornata di lavoro e fanno gola a molti.




c) La cuccagna (la cuccàggna).


Qualche volta si pianta anche l’albero della cuccagna, ben insaponato. 

In cima, se i procuratori sono generosi o furbi, può anche fare gola una spalletta di porco. Salire fino a quel ben di dio è impresa ardua e quasi impossibile per tutti.

Ognuno ha i suoi trucchi per cercare di vincere quel maledetto palo scivoloso. 

Il più usato è quello di riempirsi le tasche di cenere con cui rendere meno scivolosa la presa. Per qualche metro la cosa va, poi, quando si va a staccare una mano dal palo per prendere ancora della cenere dalla tasca, si allenta la presa e si scivola giù come una pietra pesante (cóme na pòra còtta, come una pera cotta) e lì tutti a ridere rumorosamente, come un attimo prima rumorosamente si faceva tifo per il concorrente. 

Va da sé che spesso la spalletta di porco rimane in cima all’albero e i procuratori ci fanno una bella figura senza spese. 

Però un pezzo di salsiccia (na plòca de saucìccia) come premio di consolazione la danno e questo li riconcilia con i concorrenti delusi e insaponati che sembrano nu sórge ‘mpùsse all’uàgglie - un topo bagnato nell’olio -.




d) Il tirassegno (gliù tirasséggne).


Vicino al gelataio ha preso posto la bancarella di mille cianfrusaglie: specchietti, pettinini, nastrini, scatolette colorate, girandole di carta oleata, palloncini colorati e l’immancabile coppia di pupazzetti di legno, maschio e femmina, montati su di un piccolo carrettino con un lungo timone di legno. Tirando il timone le ruote del carrettino fanno ruotare la coppia di pupazzetti, che reggono in mano dei timpani tintinnanti.

E’ la bancarella del tesoro per tutti i bambini e ragazzi e ragazze più grandicelli. Si guarda e si desidera tutto, ma soprattutto le caramelle avvolte nella carta colorata.

Per quasi tutti c’è solo da guardare e basta. I pochi fortunati ai quali i genitori comprano qualcuno di quegli oggetti del desiderio, sono invidiati e dimostrano platealmente di esserne pienamente coscienti.

In genere lo stesso bancarellaro gestisce i fucili a piumino e i fucili a piombino ad aria compressa. Per caricarli bisogna piegare la canna, infilare il piumino dalla coda di fili colorati o il piombino che il bancarellaro porge senza fretta e con molta attenzione e richiudere. 

E’ una operazione importante che va fatta con molta serietà e concentrazione soprattutto dai ragazzi più o meno grandi, quasi si fosse ad una gara importante di tiro. 

Si prende bene la mira, consigliati dai ragazzi più grandi o da qualche adulto su come deve essere imbracciato il fucile, che bisogna tenere il braccio quasi parallelo alla spalla, che il calcio del fucile deve toccare leggermente la faccia e soprattutto che bisogna trattenere il respiro prima di tirare il grilletto.

I ragazzi e ragazzotti ce la mettono tutta e i bersagli a cerchi concentrici con i colori della bandiera italiana, fissati con puntine su una tavola di legno appesa al muro, vengono fioriti dei piumini multicolori. I centri sono accompagnati da grandi ovazioni e il bersaglio colpito al centro viene gelosamente custodito come trofeo.




e) Il tirassegno al galletto (gliù tirasséggne a gliù iallìtte).


Ma più di tutto affascina il tiro a segno col botto. 

Si tratta di un’asta di ferro alta circa un metro e mezzo su cui scorre un blocco di ferro sagomato che porta in cima un galletto di lamiera disegnato alla meglio. Il pezzo di ferro ha dietro un fermo di aggancio che lo blocca in cima all’asta. Il fermo è collegato ad un piccolo bersaglio rotondo, una piastrina delle dimensioni di una cinque lire del 1947, quella di alluminio col grappolo d’uva e la faccia dell’Italia piuttosto incazzata. 

Il piccolo bersaglio colpito dal piombino si piega all’indietro, il dente di aggancio si sfila dal suo alloggiamento, il galletto cade velocemente e il blocco di ferro va a colpire una piastrina posta alla base dell’asta su cui è stata versata un po’ di polvere da sparo e tutto si consuma con una fiammata ed un gran botto.

Così anche quelli che non hanno avuto la fortuna di ritrovare colpi inesplosi dello sparo possono assaporare l’emozione di un bel botto.

E tutti quelli che hanno fatto la guerra o il militare ci tengono a far vedere che hanno gran mira. 

S’intende che quei fucili da burletta sono snobbati dai tanti cacciatori del paese che ritengono indecoroso mettere in mostra le loro capacità in sciocchezze per bambini.






La giornata di festa per i giovani e anche per gli adulti si svolge in piazza, a giocare a battimuro (a battemìure) o a pìngula.



f) A battimuro (a battemìure ).


Ognuno lancia la sua monetina cercando di avvicinare il più possibile il muro. Vince chi avvicina di più e guadagna i soldi di tutti i giocatori.




g) A coppo (A ppìngula). 


Più articolato è il gioco della pìngula. Su un mezzo mattone vengono poste le monete puntate da ogni giocatore.

Si fa il conto a chi tira per primo. L’abilità consiste nel far cadere le monete colpendo il mezzo mattone con una pìngula, ossia con un mezzo coppo (nu pìnce) opportunamente spianato e sagomato a guisa di piastrella, ma in modo che le monete cadano il più vicino alla propria pìngula, meglio se ci capitano sotto. 

Ogni giocatore cerca di avvicinare o di ricoprire con la propria pìngula il maggior numero di monete, che diverranno il suo guadagno, cercando anche di scalzare la pìngula degli altri.

Va da sé che nell’uno e nell’altro gioco nascono infinite contestazioni sulle distanze, con misurazioni ripetute a palmi o con una bacchetta di legno improvvisata e i litigi spesso sfociano in violenze più o meno contenute.




h) A morra, scopa, briscola, tresette, zecchinetta (A mórra, scópa, brìscola, tressètte, 

        zecchinétta).


Altri giocano a morra, attorniati da una piccola folla che segue e parteggia vivacemente per l’uno o per l’altro.

Nel dopolavoro o nella cantina i giochi di carte più o meno tradizionali (scopa, briscola, tressette, zecchinetta) finiscono sempre con la passatella. 




i) La passatella o Padrone e Sotto (la passatèlla o Padréune i Sótte).         .


Sia che si giochi a morra in piazza, attorniati da una piccola folla che segue e parteggia vivacemente per l’uno o per l’altro giocatore o ai giochi di carte più o meno tradizionali (scopa, briscola, tressette, zecchinetta) nel dopolavoro e nelle cantine, i giochi finiscono sempre con la passatella, a Padréune i Sótte

Chi perde paga, ma bere o non bere dipende ancora dalla sorte. Ogni giocatore alza (prende) una carta dal mazzo di carte. Chi alza la carta più alta, a valore di tressette o di briscola, secondo quanto si è stabilito, è il Padrone e chi ha la seconda carta più alta è il Sotto. 

Va da sé che si possono ottenere combinazioni favorevoli o meno. Può capitare che Padrone sia un giocatore di una coppia e Sotto un giocatore dell’altra coppia o può capitare che Padrone e Sotto siano i due compagni di gioco.

Se si è giocato a tre squadre (con i battifondi) a partecipare alla passatella sono sei giocatori, il che rende la passatella più sfiziosa. 

Il Padrone è l’unico che può bere liberamente. Il Sotto beve se il Padrone lo invita, ma è comunque obbligato a farlo se invitato. Gli altri bevono se invitati dal Padrone e se il Sotto dà il suo assenso. 

Il Padrone può anche dirottare il bicchiere, destinato dal Sotto ad un giocatore, a sé stesso o ad altro giocatore. Nessuno può rifiutare di bere se invitato (o meglio obbligato) dal Sotto.

Il Padrone e il Sotto quindi giocano di strategia, cercando di favorire in genere il compagno di squadra o gli amici e/o lasciare a bocca asciutta l’avversario o cercare di farlo ubriacare. Vengono così fuori vecchi rancori, rivincite e vendette per pregresse passatelle. 

L’interesse della passatella, soprattutto per le numerose persone accalcate attorno ai giocatori, sta proprio in queste strategie, commentate favorevolmente o sfavorevolmente a seconda che il Padrone e il Sotto ci sappiano fare o meno e nel vedere se qualcuno viene lasciato a bocca asciutta (gli’àve fàtte a gli’ uàlme) o se è costretto a bere fino a ubriacarsi. 

La formula di rito è questa. Il Padrone riempiendo il bicchiere o mettendocene per sfregio un fondo, secondo a chi lo vuole destinare e cercando di intuire le intenzioni del Sotto, offre il bicchiere al prescelto dicendogli: Vai al Sotto. 

Il prescelto si rivolge al Sotto chiedendo: Posso bere? Il Sotto può rispondere: Bevi (se è il compagno o un amico e il bicchiere è pieno) oppure può rispondere: Passalo a... (cioè al compagno del Padrone o ad un giocatore suo avversario o nemico, se il bicchiere per scherno contiene poche gocce di bevanda o al compagno di squadra o amico se il bicchiere è pieno). Assai sfruttata è la strategia dell’aggiunta, quando si aumenta il livello della bevanda nel bicchiere a volontà del Padrone o del Sotto. 

Ad es. il Padrone dice al Sotto indicando un giocatore:" Mìtteglie a béve nu dùte. (Mettigli un dito di bevanda.)". Il giocatore chiede al Padrone:" Pòzze véve? (Posso bere?)" Il Padrone gli risponde: "Và' a gliù Sótte. (Vai al Sotto)". Se il giocatore è un suo compagno di squadra, il Sotto in genere risponde: " Che la ggiùnta" (con l’aggiunta) e il bicchiere viene riempito. Può capitare però che, o perché il designato è avversario o per motivi suoi, il Sotto non conceda “l’aggiunta”.

Possono così crearsi una miriade di combinazioni: ad esempio il Padrone può fare all’olmo tutti, ma in questo caso è costretto a bere tutto lui. Oppure può decidere di far ubriacare il Sotto, specie se sa che è uno che non regge troppo il bicchiere, costringendolo a bere tutto o quasi tutto. Oppure Padrone e Sotto possono decidere di far ubriacare o fare all’olmo qualcuno. Il gioco in realtà è quasi sempre in mano al Sotto, tolto i due casi esemplificati prima. 

Ancora più cocente ed offensiva è la situazione nella passatella in cui si arriva di proposito allo scherno e alla derisione dell’avversario, alla presenza poi di decine di persone accalcate attorno ai giocatori. Nascono inimicizie e propositi di vendetta e non sempre la cosa finisce bene. 

Il detto Fà a gli’ uàlme (Fare qualcuno all’olmo) potrebbe aver avuto origini nelle nostre parti dal fatto che nelle piazze dei paesi in antico ci si riuniva sotto un grande olmo, quando si dovevano prendere decisioni importanti. (1) A quell’olmo venivano impiccati i malfattori e legati alla berlina i rei di reati minori. 

Chi viene fatto all’olmo sta lì come impiccato o messo da parte o punito, senza poter partecipare alla bevuta.

Per cui Padréune i Sótte, cioè essere Padrone e Sotto nello stesso tempo, significa per traslato avere i pieni poteri di fare e disfare, senza che nessuno possa fare opposizione.



(1)  Cfr. il Placito valvense del 1102 “… Actum est hoc in planu de Balba ante castrum de Poperi ad ipsum 

       ulmum…” A. COLAROSSI-MANCINI, Memorie storiche di Popoli fino all’abolizione dei feudi, Nuova     

       edizione curata da E. Favaro e A. Lattanzio, Popoli, circolo ACLI “Seguimi”, 2007, documento 1, pag. 

       263. 






Ma i ragazzi e ragazze sanno divertirsi con niente in qualsiasi momento, anche quando in teoria dovrebbero “lavorare”.

Ne volete qualche esempio?


Tutte le famiglie preparano l’estratto (gliù stràtte) di pomodoro d’agosto, negli stessi giorni.

Per far asciugare e finire di ridurre la percentuale di acqua dell’estratto, la piazza si riempie di una distesa di tavole, poggiate su trespoli alti una settantina di centimetri, che hanno un bordino rialzato di un paio di centimetri, sulle quali viene versato e spalmato il liquido denso, così come viene dalla cottura e successiva spremitura dei pomodori.

A badare, meglio sarebbe dire a fare la guardia, sono cooptati i ragazzi e in genere le femminucce.

E’ perciò quello un momento di festa e di dolce far niente, visto il lavoro non impegnativo e quindi se ne approfitta per gettarsi a capofitto nei giochi femminili di gruppo: 

Cummà è cuàtte le pàne? (Comare, è cotto il pane), La bèlla portinàia (La bella portinaia), Cummà dàmme na cipólla (Comare, dammi una cipolla), A ccàmpe d’allòrge (A campo di orologio), A cianchìtte (A saltelli... ossia a campana).

Ma presto al gioco si aggregano al gioco anche i ragazzetti maschi.

Il rischio è che nel gioco, soprattutto nelle corse sfrenate dei maschi che spesso passano carponi sotto le tavole con il prezioso estratto, qualche tavola cada. E allora per la custode della tavola caduta, la sera, quando le tavole vengono ritirate e ricoverate in casa o nei fondaci per la notte, una scarica terribile di botte da parte di madre, zie e nonne non si può evitare.

Perciò mentre si gioca bisogna stare attente a che questo non accada e c’è sempre qualche ragazza in campana, pronta a fermare la corsa di qualche ragazzetto imprudente.

Che se poi dovesse succedere, siccome l’estratto non è più liquido, la tavola caduta viene rialzata, l’estratto ripulito di terriccio e sassolini, si ridà una bella allisciata con le mani all’estratto per rimettere tutto alla pari e, se nessuno fa la spia, non è successo niente.

Tanto polvere, pagliuzze, foglie, mosche (ed altro) sull’estratto si posano sempre, specie nei giorni di vento e non ci si fa più caso di tanto. Si tolgono semplicemente, le foglioline come le mosche morte rimaste invischiate.

Ne volete un altro

A maggio le vacche sono a riposo e possono essere mandate al pascolo. Si fa come con le pecore. Molti proprietari, circa una ventina, mettono assieme le vacche a formare una mandria (gliù vaccàre) o mandrie più piccole (gliù vaccariàgglie). 

Chi non aggrega la vacca o le vacche (due per i più ricchi) alle mandrie comuni, manda i figli a pascolarle singolarmente. I ragazzi e specialmente le ragazze formano piccole mandrie temporanee andando a pascolare tutti nella stessa zona. Almeno così quel lavoro diventa occasione per stare insieme, parlare e giocare all’altalena (a dindó) con una fune legata ai rami di qualche albero

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