Ricordo di Don Gustavo Iovenitti
Post Ivana Fiordigigli
RICORDO DI DON GUSTAVO IOVENITTI
di Franco Dino Lalli
Scorrendo le immagini del film “Festa, piccola storia di una epifania”, presentato nel nostro sito, affiorano tanti ricordi di quel periodo, un periodo ricco di suggestioni legate a tante esperienze condotte da noi giovani nel paese. Quante emozioni nel rivedere i volti di chi aveva partecipato come protagonista o come semplice comparsa. Tanti ormai non ci sono più, piccole tessere di un mosaico storico del nostro vissuto, ognuna con il suo carico di ricordi che servono a strutturare una memoria valida e significativa.
Studio e rilievi sul luogo delle riprese
Su ognuno di essi bisognerebbe tracciare profili, ma, in particolare, la presenza nel film del parroco del paese, Don Gustavo Iovenitti, mi porta a sintetizzare i vari ricordi legati alla sua persona e alla sua opera religiosa e sociale nella nostra parrocchia. È inusuale vedere un parroco prestarsi al ruolo di interprete in un film insieme ad altri suoi compaesani, ma Don Gustavo era così, sempre pronto a sobbarcarsi anche di ruoli diversi dalla sua competenza pur di essere utile e disponibile per gli altri.
Era nato a Paganica il 6 settembre 1927 e fu parroco di Assergi dal 1° agosto 1976 fino al 1985, anno della sua morte. Curava anche le parrocchie di Pescomaggiore e Filetto.
Era una persona semplice, buona e sempre disponibile. Il suo carisma era costituito proprio dalla sua semplicità e dalla sua umanità che seppe coinvolgere noi giovani che insieme a lui costituimmo un gruppo ben affiatato e funzionale per le pratiche religiose e complementari. Riuscì a farci coagulare in un gruppo abbastanza numeroso molto attivo e propositivo per realizzare tanti progetti insieme a lui che venivano discussi, progettati e realizzati in un’atmosfera di grande euforia e di socialità. Così permise di vivere la nostra esperienza religiosa ed umana in un contesto socializzante.
Furono anni di spensieratezza ma anche di impegno, supportati anche dalla sua positività che ci faceva sembrare importanti. Eravamo tanti e tutti, con lo stesso entusiasmo, ci davamo da fare per riuscire nei nostri piccoli progetti. Sotto la sua protezione ci sentimmo protagonisti di un periodo indimenticabile e irrepetibile.
La parrocchia divenne un punto di riferimento, diversamente da come succedeva in precedenza, ed era un luogo di una vivace e creativa comunità sia negli aspetti religiosi che in quelli più semplicemente ludici.
La chiesa era gremita di gente anche per le novità delle iniziative proposte che volta a volta noi ipotizzavamo sempre in accordo con il parroco.
Fu il primo che ci permise di valorizzare le funzioni religiose introducendo strumenti nuovi come le chitarre, suonate da alcuni di noi, e allietate dal coro di ragazze che riempivano la chiesa di sonorità nuove e diverse.
Una novità fondamentale fu quella della realizzazione di alcuni presepi viventi nella chiesa che permisero di offrirci la possibilità di reinventare la natività in maniera nuova e del tutto creativa. Tutti partecipavamo alla realizzazione delle scene, alla scelta delle musiche di sottofondo, all’uso delle luci e alla realizzazione dei costumi che venivano rimediati come potevamo senza comunque pretesa di storicità, ma efficaci nel sentirci protagonisti di una rappresentazione della trascendenza. Ricordo che osammo anche rappresentare, una volta, la nostra rivisitazione dell’Ultima Cena e ricordo i brividi che ci pervasero quando tutti eravamo in scena all’ascolto delle musiche e la trepidazione quando scandivamo le nostre battute. A proposito di costumi, ricordo anche con affetto chi, non avendo a disposizione niente di meglio, utilizzò come accessorio del costume rimediato, il telo di una sedia a sdraio che si teneva dritta e scheletrica sul suo corpo.
Presepe vivente.
Un anno, per rendere più funzionali, ma anche più efficaci e belle le scenografie, realizzammo un enorme pannello con il profilo di un paesaggio sul muro della navata laterale destra della chiesa. Utilizzammo fogli grandi di carta da pacchi con i quali coprimmo il muro attaccandoli l’uno con l’altro e su quel supporto realizzammo il dipinto che era veramente molto suggestivo e d’effetto. Non smettevamo di lavorarci neanche durane le funzioni religiose della sera, ma il parroco, tollerante e disponibile anche in questo, non ci rimproverò mai della piccola confusione che potemmo provocare, anzi con il suo sguardo ci proteggeva e ci incoraggiava.
Presepe vivente.
Per noi la sua disponibilità e la sua innocente audacia si spinse anche oltre: ci condusse varie volte a L’Aquila al cinema a vedere i film appena usciti infilandoci in tanti nella sua vettura, una 110 familiare datata ma funzionale, con la quale ci portava anche fino alla chiesetta di San Clemente, attraverso il sentiero sterrato sul quale la vettura sobbalzava a sbuffava, per celebrare la messa nella ricorrenza stabilita.
Organizzò anche, per noi e per il paese, varie gite in giro per l’Italia. Me ne ricordo solo qualcuna: a Capri, ad Assisi.
Ricordo con molto piacere anche quando egli ci offrì la possibilità di usufruire, per qualche anno, delle vacanze estive che altrimenti non avremmo potuto fare. Si procurava una tenda militare, abbastanza grande per ospitarci tutti, grazie alle sue conoscenze con i dirigenti del corpo degli Alpini di L’Aquila. Ci accompagnava al mare e nella spiaggia presso la Torre del Cerrano, tra Pineto e Silvi, con l’aiuto di un suo conoscente di Paganica, ci montava la tenda. Così ci permise di trascorrere giorni spensierati e gioiosi offrendoci anche la prova di sapercela cavare da soli nelle impellenze quotidiane. Veniva a trovarci durante la settimana per assicurarsi che tutto andava bene, ci assicurava il suo conforto spirituale e divideva con noi il sole, il mare e la spiaggia.
Vacanze al mare dei ragazzi di Assergi.
Il 30 agosto del 1980, per la visita di Giovanni Paolo II, decidemmo, insieme a lui, come sempre facevamo, di offrire anche noi una testimonianza tangibile di affetto e gratitudine per il papa. Così pensammo di realizzare un pannello da porre in una collina di fronte al luogo ove il papa avrebbe pronunciato il suo discorso e offerto la sua benedizione. Su quel pannello decidemmo d’apporre la scritta “Assergi saluta il santo padre”. Don Gustavo ci dette la possibilità di usufruire di un supporto logistico ove realizzare il pannello: il garage della parrocchia, oggi centro polifunzionale. Ci impegnammo a lungo nella discussione delle modalità realizzative, della grandezza e dell’aspetto cromatico del pannello che assunse la grandezza notevole di qualche metro di lunghezza e di larghezza.
La mattina del giorno fatidico, caricammo su un motocoltivatore il pannello e ci accingemmo ad esporlo sulla collina di lato allo spiazzo sopra l’ingresso del traforo, preparato per l’atterraggio dell’elicottero del Pontefice. Ricordo la grande fatica occorsa nel salire quel pendio ma anche la gratificazione immensa nell’osservare la sua imponenza e ciò che voleva rappresentare. Ricordo anche i pensieri contraddittori che emersero nelle nostre discussioni: con il traforo eravamo affascinati dalla novità, incuriositi per i nuovi orizzonti che s’aprivano alla nostra esperienza, ma nello stesso tempo, preoccupati per il timore che esso potesse mettere a rischio l’identità del nostro microcosmo che fino ad allora era stato protetto dalle montagne.
Mi fa piacere che anche altri, che vissero questi momenti insieme a me, abbiano espresso lo stesso mio parere favorevole per quel periodo e per quelle esperienze. Sulla figura di Don Gustavo sono stati, però, espressi anche pareri diversi e anche poco positivi, ma, come suol dirsi “ognuno ha due popoli”. Certo, a volte, affibbiare etichette negative ad una persona senza averla veramente conosciuta e averla compresa è molto facile, ma così si rischia di ledere chi non merita tale trattamento.
Oggi, purtroppo, il rapporto con la chiesa e la parrocchia si vive in maniera diversa. I punti di rifermento attuali sono diventati altri, anche molto più effimeri. Ma non solo!
Gli interessi personali e di gruppo verso la parrocchia sono subentrati a quelli della socialità e della condivisione, impoverendo così il sistema sociale del paese.
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