"Acquare della Conca"

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Post di Ivana Fiordigigli

J'Acquare della Conca è un racconto che assume quasi le sfumature di una leggenda.

 E' un luogo che non è più e Gino lo fa rivivere e lo ricorda, così come è custodito nella sua memoria, facendolo rivivere anche a noi e lasciando una traccia anche nella nostra memoria. Non so quanti in Assergi oggi hanno a mente questo luogo. 

Peccato che nessuno ha pensato a lasciarcene una descrizione e che non esista una foto; oggi con una sensibilità diversa, con i mezzi odierni più potenti e sviluppati, forse qualcuno avrebbe potuto pensare anche a mantenerlo in qualche maniera, se anche non fosse stato possibile spostare il tracciato della grande opera.

Il nome "Acquare della Conca" rimane oggi come quello della contrada. Ma quanti giovani della zona sanno il perché di questo nome?.

Il racconto di Gino ci permette di recuperare un pezzo di storia e di dare forma e vita a un luogo del territorio di Assergi, ormai perso, ma che ognuno di noi riesce a raffigurarsi con un po' di fantasia e di attenzione.

E' un racconto quello di Gino, ma non di qualcosa che ha visto con i suoi occhi, infatti  egli è nato nel 1942, quando j'Acquare non esisteva più. Come fa a parlarne? Qui subentra la tradizione orale che trasmette di padre in figlio dati, conoscenze, racconti, impressioni, emozioni, approvazioni e costernazione davanti al progredire degli anni e dei secoli. 

La sua famiglia era imperniata sul lavoro e sulla cultura pastorale, conosceva benissimo la montagna, la praticava quotidianamente, aveva negli elementi di questo paesaggio i suoi riferimenti e le sue localizzazioni ed è da questo contesto che arriva a Gino il racconto di un fatto avvenuto circa dieci anni prima della sua nascita, quando tale Acquare, fatto di pietra e dura roccia e che sembrava inamovibile e pronto ad affrontare i secoli, è finito sotto l'azione di rudimentali escavatori e quanto altro allora in uso, anche mine, scomparendo. Nella frase che riporta il racconto, " U primu sassu che jorno a rompe pe' fa' la funivia fu j'Acquare della Conca", si condensa tutto lo sconcerto, il disorientamento, il rimpianto di montanari e pastori di allora per un secolare, e immutato, e immobile contrassegno del territorio, che davanti ai loro occhi è andato in frantumi.

Siamo di fronte a due monumenti storici. Uno scolpito e inciso dalla montagna e segnato dalle innumerevoli firme della mano dell'uomo, l'altro monumento quale opera imponente e attuale destinata a portare sull'alta montagna migliaia e migliaia di viaggiatori, strutturata e realizzata con moderni mezzi meccanici dall'uomo. 

Siamo di fronte a due eventi storici. Uno si è snodato nei secoli lungo il percorso compiuto dai viandanti a piedi sulla montagna del Gran Sasso, salendo lungo Via Portella e, attraverso il Passo omonimo, scendendo verso il versante teramano; non ci sono dati circa questo  posizionamento del masso proprio in quel punto del cammino. Viene da chiedersi: "Si sarà fermato lì anche l'Eremita San Franco a bere e ristorarsi quando scendeva dalle sue grotte per raggiungere Assergi o risaliva verso le sue povere dimore rocciose?" L'altro riguarda una nuova vita per la montagna ed i suoi percorsi a partire dall'attivazione nel 1934 della nuova struttura della funivia, la possibilità di accedere alla montagna più alta in pochi minuti di tragitto, la prospettiva di un nuovo sviluppo turistico. 

Riporta Demetrio Gianfrancesco nel suo libro su Assergi e San Franco:

Il Gran Sasso ricevette un impulso turistico decisivo con la costruzione dell'ardita Funivia, realizzata dalla Ceretti e Tanfàni di Milano, progettista e direttore delle opere murarie l'ing. Mario Bafile (1933-1934).

La rivista mensile "Le vie d'Italia" nell'ottobre 1934, alle soglie dell'anno XIII dell'Era Fascista, elencando le ultime opere compiute, parla dell'apertura all'esercizio della Funivia del Gran Sasso.

Seguiamo la descrizione della grande opera attraverso le parole di C. Landi Vittorj e S. Pietrostefani nella Guida dei Monti d'Italia:

La funivia lunga m. 3240, diretta da NO a SE, supera un dislivello di 1106 m. - E' divisa in due tronchi di uguale lunghezza da una stazione intermedia, dove avviene il trasbordo dei passeggeri. Ogni vettura è capace di 22 persone, oltre il conducente; può trasportare 150 persone all'ora. Corse facoltative per 8 viaggiatori.

Con un percorso di 15 minuti si raggiunge la Stazione Superiore della Funivia m. 2112 e, a 100 m. l'Albergo di Campo Imperatore.






Acquare della Conca - Il racconto

Dal Quadernone di Gino Faccia


Era un grosso masso di pietra che si trovava a Fonte Cerreto, vicino dove attualmente è il ristorante di Maria, ai piedi della pineta.

La particolarità di questo masso era che la parte superiore era incavata, come una grossa conca e con la pioggia si riempiva di acqua. Questo è il motivo per cui veniva chiamato "acquare". 

Ricordiamoci che si trovava in un luogo di molto transito: montanari, pellegrini, alpinisti e scalatori, venditori di stoffe e prodotti, tutti passavano di lì avviandosi a salire lungo il Passo della Portella, quasi una autostrada a quei tempi.


Nel quadro di S. Franco la salita e il Passo della Portella sono quelli riportati in alto sulla destra; si notano i pellegrini che salgono per tornare nell'altro versante del Gran Sasso, quello teramano.




Chiunque, passando, si dissetava con quell'acqua, ristorandosi dopo la lunga discesa o accingendosi a salire. Era come una conca, in cui tutti bevevano, e non si faceva caso a chi ci aveva già bevuto. Si trovava proprio "appèjè alla pineta".

A "j'acquare della Conca" chiunque passava usava scrivere il suo nome e la pietra si presentava ricolma di firme , a segno e ricordo del proprio passaggio, una specie di agenda aperta piena di scritte e di ricordi.

All'improvviso tutto cambia. C'è il progetto di realizzazione della nuova Funivia del Gran Sasso: è una importante opera e fervono i lavori.

" U primu sassu che jorno a rompe pe' fa' la funivia fu j'Acquare della Conca", questo grosso sasso incavato a mo' di conca, che offriva un sito di raccolta alla pioggia, e acqua dissetante, e portava impressi sui fianchi nomi e nomi di viandanti. 


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