Proverbi di Assergi, di Franco Dino Lalli: IL LAVORO N° 2 (Lab. memorie)

Post Ivana F.

Dicevamo che i proverbi sono ancora vivi ed esprimono delle verità che non si può non condividere. Sono chiaramente degli spunti da interpretare ma ne emergono delle regolamentazioni di comportamento che ancora riusciamo a calare nelle attuali situazioni di vita, o in negativo o in positivo.

Divertiamoci a considerare l'attualità di questi proverbi che magnificano il "dolce far niente" o con ironia sottolineano la scelta esistenziale di non fare niente:

"Va a Roma pe' lavorà e prega Dio di non trovà"




Vojia de lavorà sàrdame addosse, fatìa nen m’abbandonà

(Voglia di lavorare saltami addosso, fatica non mi abbandonare).


Vojia de lavorà sàrdame addosse, lavora tu ca

 ji nen pòzze

(Voglia di lavorare saltami addosso lavora tu che io non posso).


Quanne u bòve nen vòle arà nen ji manca lo

 scancijià

(Quando il bue non vuole arare non gli manca di scalciare, impuntarsi).


A chi nen piace de lavorà, sbirre o frate ji tocca

 a fà.

(A chi non piace di lavorare gli tocca fare il poliziotto o il frate).

Variante: Chi l’arte nen vò mparà, sbirre o frate ji tòcca a fà.


Se vo’ campà passa vojie e venga domà

(Se vuoi vivere passi oggi e venga domani).


Chi lavora magna e chi nen lavora magna e

 beve

(Chi lavora mangia e chi non lavora mangia e beve).


Attacca j’àsene addo’ vòle u padrone e dìcche

 se ruzzica

(Attacca l’asino dove vuole il padrone e lascia che ruzzoli).

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