L'Eremo di Sant'Onofrio nei tenimenti di Lucoli del Prof. Giuseppe D'Annunzio


Post Ivana F.

Nell'articolo, che si riporta, tratto dal sito internet "Appennini .TV" (https://www.appennino.tv/2021/08/02/leremo-di-santonofrio-nei-tenimenti-di-lucoli) si torna a parlare dell'Eremo di Sant'Onofrio, in Lucoli, che si ipotizza possa essere stato il primo rifugio di San Franco, dopo l'uscita dall'Abbazia di San Giovanni da Collimento. 

Una escursione lo scorso anno, insieme all'associazione "NoiXLucoliOnlus" ci ha fatto conoscere questo specialissimo e antichissimo luogo fra i boschi, pieno di spiritualità e di mistero.

Lo studio inedito è del Prof. Giuseppe D'Annunzio; le foto sono di Mauro Congeduti.



L’EREMO DI SANT’ONOFRIO NEI TENIMENTI DI LUCOLI


Storia1


Sappiamo tutti che la storia è legata alla scrittura. Eppure ci sono luoghi arcani così impregnati di vissuto e spiritualità, che quando ci arrivi provi un sussulto nell’anima. “Muti” nel racconto epigrafico e letterario, ma ugualmente carichi di storia; così colmi del genius loci che capisci subito che lì l’uomo si è fermato per secoli a pregare e ritrovare se stesso. La grotta di Sant’Onofrio è sicuramente uno di questi.

Si trova nel Vallone di Sant’Onofrio, tra le valli Orsara e Vaccamorta, che dalla destra orografica scendono sul Torrente Raio, oggi sormontato dall’ autostrada A 24 Roma-L’Aquila. Si apre su una parete verticale di roccia alta almeno 30 metri, alla quota di 1370 metri sul livello del mare. Sospesa nel vuoto, ha davanti solo la sconfinata distesa di verde del bosco di Cerasolo, una minuta striscia di prato e l’orlo roccioso di un 2000 m, il Monte Cava, a separare il verde dall’azzurro del cielo. Quando si è all’interno vengono in mente i tanti eremi d’Abruzzo, ma quello più simile è quello, spettacolare, di San Giovanni all’Orfento.

Ma la posizione della grotta, vicinissima all’antico insediamento di Sant’Eramo, ora quasi completamente scomparso, e lungo direttrici di collegamento tra la valle dell’Aterno e il Fucino, tra le strade consolari romane Cecilia e Valeria, e la sensazione che la scelta di scavare le camere su questa monumentale parete rocciosa, analogamente alle tombe di Petra, sia stata dettata più da una scelta estetica che dalla volontà di isolamento, porta a pensare che l’origine possa essere più antica di un eremo medioevale, e che quindi l’antro possa essere stato scavato nella roccia per fungere da santuario o necropoli in età italica o romana. Nell’Alto Medioevo cristiano, il monachesimo negli appartati cenobi ha origine dalla vita eremitica, tanto che nella regola di San Benedetto quello degli anacoreti, ovvero degli eremiti, è citato come uno dei quattro tipi principali di monachesimo. E nella conca dell’Aterno, sulla via Cecilia, operò nel V secolo Sant’Equizio d’Amiterno, uno dei massimi diffusori, insieme a San Benedetto da Norcia (ca. 480-547), suo contemporaneo, del monachesimo.Storicamente il più importante monastero nei tenimenti di Lucoli è quello di San Giovanni di Collimento, che dai manoscritti dell’Antinori sappiamo essere stato fondato e dotato dal Conte Odorisio nel 10772, e da questi sottoposto alla giurisdizione diretta della Santa Sede. Da esso prese il titolo uno dei quartieri in cui fu divisa la città dell’Aquila, fondata a metà del Duecento. Sembra anche chiarito che questa nuova abbazia nulla avesse a che fare con il noto monastero di Farfa, che pure aveva possedimenti nel territorio lucolano, e che non fosse una rifondazione della nota cella farfense di San Benedetto, esistente in questi territori ancora prima della fondazione di San Giovanni3. Anche l’ipotesi che al tempo della vocazione di San Franco (Roio, 1154/59 – Assergi 1224/29) intorno al 1174/79, l’abbazia di San Giovanni potesse essere un monastero equiziano sembra quindi non avere fondamento4, anche se non è escluso che prima ancora della nominata cella benedettina ci potesse essere in questi tenimenti, distanti soli 18 km da San Lorenzo di Marruci, centro di irradiamento di questa regola monastica, un cenobio equiziano e che lo stesso eremitorium fosse a questo collegato.

I documenti in cui è invece citato direttamente l’eremo di Sant’Onofrio sono due, entrambi noti a padre Aniceto Chiappini, che ne dà notizia nel suo pregevole saggio sul Medioevo lucolano. Il primo risale al 1222:

“L’11 luglio 1222, indizione 10, regnando Federico II° Re di Sicilia, Giovanni di Collimento, per bene dell’anima propria e dei suoi parenti, diede ad Orazio prete in onore di Dio e della chiesa di S. Onofrio, ordinata dallo stesso Orazio nella Grotta posta fra la selva di Cerasolo e la villa di Pretarotara, e ai preti e fratelli successori, servienti in tale chiesa in perpetuo, un quartaro di terreno posto nel campo di Sassa, un quartaro di vigna nel luogo detto Cese, e mezzo quartaro di terreno al lato delle case di Sassa. Ne rogò l’atto Guittone di Sassa. Si ha da ciò la fondazione e la dotazione del monastero di S. Onofrio”5.

L’altro, più recente, è “la Bolla Ad ea ex iniuncto del 27 maggio 1450, con la quale Niccolò V conferma alle clarisse di Santa Maria ad Fontes di Acquili (oggi Convento di Santa Chiara dei Padri Cappuccini in L’Aquila): “Locum ipsum in quo praefatum monasterium situm erat cum omnibus pertinentiis sui; Eremitorium S. Onofrii de Pretarotaria cum omnibus pertinentiis suis; Ecclesiam S. Laurentii de Saxa cum omnibus pertinentiis suis…”6.

Da questi due documenti si evince che l’eremo era regolarmente officiato e dotato di beni e di rendite, grazie ai legati pii dei fedeli, fin dal 1222. Ma altre notizie storiche su Lucoli potrebbero riguardare indirettamente il nostro eremo. La bolla Religiosam vitam eligentibus emanata da Innocenzo III il 23 aprile 1215, confermava alla badia di San Giovanni di Collimento, “senza restrizioni tutti i suoi beni, privilegi e immunità fino ad allora goduti”. Tra questi “S. Erasmo [S. Eramo]”7 nel cui territorio, come abbiamo visto, ricade l’eremo. Orbene, nel 1294 “Visto che la vita spirituale e temporale del monastero lucolano andava in rovina per la vita secolaresca e gaudente dei monaci, peraltro contrari a qualsiasi iniziativa di riforma tentata dal nuovo abate Matthaei; questi si recò dal pontefice Celestino V per farne spontaneamente la rinuncia. Il santo pontefice, consacrato papa in Aquila nella chiesa di S. Maria di Collemaggio il 29 agosto 1294, accettò tale rinuncia e colla bolla Meditatio cordis nostri, Aquila 27 settembre 1294, volendo restaurare a fondo detto monastero, decretò di sottoporlo con tutti i suoi beni e chiese al monastero celestino di S. Spirito presso Sulmona ed al suo abate Fra Onofrio, esimendolo altresì da qualsiasi giurisdizione del vescovo aquilano.” È probabile quindi che Sant’Onofrio di Lucoli abbia ospitato anche eremiti celestini ma per un breve periodo, visto che nel 1318, morto l’abate Onofrio, il monastero era già tornato benedettino.


Descrizione della cella




La grotta si apre poco a valle dei ruderi di Sant’Eramo8, su una parete rocciosa esposta a sud ovest. Si scende fin quasi alla base della parete stessa, dov’è un’altra grotta, ma lasciata al naturale. Nel camminamento di accesso, scavato nella roccia, sono stati sagomati dei gradini. Esso sale da destra verso sinistra, raggiungendo quasi la metà della parete. È probabile tuttavia che in origine si accedesse all’eremo dall’alto. L’ascesa è ora facilitata da un bel corrimano, un tondino di ferro installato nei primi anni di questo secolo. L’antro naturale è stato ampliato e modificato, come dimostrano alcune pareti verticali. Si sviluppa su diversi livelli e probabilmente era diviso in più ambienti da setti di muratura, come dimostrano alcuni sfalsamenti di piano, collegati da gradini. La rampa di accesso immette direttamente alla sala maggiore, caratterizzata da due elementi modellati nella viva roccia. Verso il dirupo sorge un parapetto alto circa un metro; è probabile che su di esso si alzasse un setto in muratura, elevato fino alla volta della grotta, per chiudere l’ambiente verso valle, come in San Bartolomeo in Legio. Ma l’elemento più misterioso è al centro del pavimento dove la roccia, di forma perfettamente quadrangolare, si rialza una ventina di centimetri come un’ara sacrificale, forse successivamente utilizzata come basamento per l’altare.

Una ben congegnata rete di canali scavati nel pavimento, finalizzata alla raccolta dell’acqua di
condensa o piovana, contorna sotto le pareti il perimetro della sala grande; questi canali scendono quindi nei locali più in basso, dove si intuisce la presenza di alcune vasche di raccolta, utili forse anche per le abluzioni. Qui doveva trovarsi un portichetto: la roccia infatti è più erosa, come se avesse subito l’azione distruttrice dell’acqua e del gelo che, grazie all’apertura, arrivavano fin dentro l’antro.




Un’ipotesi seducente




L’agiografia di San Franco si basa principalmente sugli Atti, trasmessi da un codice miniato composto da 15 carte, databile al XIII-XIV secolo, ovvero non molti decenni dopo i fatti narrati. Del manoscritto, conservato nell’antico monastero di Santa Maria ad Silicem e passato in seguito nell’archivio parrocchiale di Assergi, si perdono le tracce dopo il 1791; fortunatamente se ne conservano quattro trascrizioni, la più nota delle quali è quella redatta da Nicola Tomei, preposto di Assergi dal 1742 al 1764, edita a Napoli nel 1791. San Franco nasce a Roio sotto il pontificato del “britannico” Adriano IV, quindi tra il 1154-59, da un’agiata famiglia di pastori. All’età di diciotto anni lascia le pecore e si presenta al già importante cenobio di San Giovanni in Collimento, distante solo 8 chilometri dal suo borgo natale. Qui il giovane prega e lavora e attende agli studi con altri novizi, fino all’ordinazione sacerdotale. Alla morte dell’abate che lo aveva consacrato, viene eletto come nuovo abate, ma rifiuta la carica. Opera da subito la scelta radicale di fuga dal mondo, ma solo vent’anni dopo abbandonerà definitivamente il monastero di Collimento. Lasciamo ora la parola all’anonimo agiografo del Santo9

.
Trascorsi due lustri dall’ingresso del fanciullo nel monastero, l’abate terminò nel Signore la sua vita. I confratelli vollero allora concordemente eleggere abate Franco, ma egli rifiutò l’ufficio, rinunziando anzi definitivamente a ogni titolo d’onore e autorità, tanto per il presente quanto per il futuro. E così per altri quattro lustri rese servizio a Dio osservando la regola. Ma poi, prestando ascolto ai versi dell’inno a san Giovanni Battista, il quale fin dalla più tenera età sfuggì la folla della città, andando a vivere nelle grotte del deserto, per non avere la possibilità di macchiare la propria vita neppure con una parola, per quanto di poca importanza, e leggendo le vite degli altri santi padri eremiti, ispirato dallo spirito santo con crescente ardore, ottenuta non senza difficoltà la licenza dai superiori, scambiato piamente il bacio della pace tra le lacrime con tutti i confratelli, si levò dal letto in piena notte e, indossata la veste consueta, preso con se il breviario, messi nove pani in una bisaccia con un pugno di sale, una fiaschetta e una scodella, uscì silenziosamente dal monastero mentre i confratelli dormivano e si addentrò in boschi impervi. Dopo aver vagato alla ricerca di un luogo adatto, trovò infine, guidato per divina provvidenza da un orso mansueto, una spelonca circondata da spine acutissime, dove aveva abitato in precedenza un santo eremita, e, nella parte più interna del bosco, un tronco cavo di quercia pieno di chiarissima acqua. In suddetta spelonca visse per parecchio tempo, rendendo devotamente lode a Dio, nutrendosi dei nove pani portati con se dal monastero assieme a erbe selvatiche e ghiande. Qui il Signore dispensatore di grazie operò numerosi miracoli per i meriti del beato Franco10.


Seguiranno altre peregrinazioni, alla ricerca di ricoveri sempre più alpestri e remoti, e numerosi eventi miracolosi, fino alla morte, in un’angusta fenditura ai piedi di una rupe, tra le balze impervie del Pizzo Cefalone, nel massiccio del Gran Sasso.  


La fonte non fornisce elementi utili alla localizzazione del primo eremo del Santo, ma ci sono ragionevoli elementi per formulare un’ipotesi. Qualche anno fa il sindaco di Lucoli mi accompagnò all’eremo di Sant’Onofrio, sopra il casello autostradale di Tornimparte. Rimasi completamente soggiogato dalla bellezza del luogo, dalle rocce bianchissime e strapiombanti nelle quali è scavato l’antro, dal panorama, uno sconfinato bosco verdissimo sormontato dall’esile cresta rocciosa di una montagna che arriva ai 2000 metri e infine dall’antro vero e proprio con diverse e distinte “sale”, camminamenti, scale, un sistema efficacissimo di canalizzazione e conservazione delle acque e anche da un’ara, forse poi utilizzata come basamento per l’altare. Ebbene, ripensando al brano sopra riportato, istintivamente il pensiero corse a questo eremita e alla possibilità che l’antro che stavo visitando potesse essere stato il suo primo eremo. C’è la fonte vicina, è documentato che la zona è saltuariamente frequentata ancor oggi dall’orso (nel 2013 un plantigrado fu investito al casello di Tornimparte, distante circa 1100 metri in linea d’aria, a una quota più bassa della stessa valle).



Percorso dall’abbazia di S. Giovanni di Lucoli all’eremo S. Onofrio


A/R L 18 km 

D+ 600 m

T 5.30 h 



Questo potrebbe essere il sentiero percorso da San Franco per raggiungere il suo primo eremo. A chi ha una conoscenza solo “automobilistica” della zona potrà sembrare lunghissimo; invece si sviluppa in soli soli 9 km.
Dalla facciata della chiesa di San Giovanni Battista di Collimento di Lucoli si percorre la strada asfaltata che costeggia il monastero fino all’angolo SE, quindi, a sinistra, si imbocca una sterrata in leggera salita fino ad una piccola cappella con facciata a coronamento orizzontale e arco. Davanti ad essa è stata recentemente posta una statua della Vergine, che ricorda vagamente la dolcezza delle Madonne quattrocentesche di Silvestro dell’Aquila. Si continua fino a incrociare la strada asfaltata che sale a Lucoli Alto. Una croce di legno segnala la presenza del monastero. Sul lato opposto della strada si imbocca l’antica via che scende verso il paese di Collimento. Si attraversa l’abitato, che presenta un tessuto urbano ancora fortemente segnato dal sisma del 2009, ma le cui le architetture in muratura tradizionale con le modanature in pietra concia restituiscono un’immagine medievale; si passa davanti alla chiesa di San Sebastiano, che ha un bel portale lapideo sormontato da una trabeazione sostenuta da mensole.

Si attraversa la strada che sale a Campo Felice (SS584) e si continua a scendere fino al torrente, quindi si attraversa un ponte privo di parapetto e subito si inizia a salire, in località Carpineto, su un antico sentiero ormai in disuso ma ben costruito, con muretti a secco sia a valle che a monte. Poco dopo si incrocia un sentiero che sale da N segnato con bolli di vernice rossa a forma di cuore e macchie informi di colore verde. Dal passo che immette nella valletta denominata “Il lago” si può raggiungere facilmente la cima segnata sull’IGM con la quota 1179 m, da cui si gode un bel panorama su tutta la vallata che dall’ampia piana dove scorre l’Aterno sale fino a Campo Felice. Si scende quindi fino alla piana del Lago, anticamente coltivata, come testimoniano i cospicui spietramenti. In fondo alla valle, vicino a un casolare diruto, rimane anche un laghetto. Risalendo si incontra un antico insediamento di ricoveri agro-pastorali, uno dei quali a pianta circolare. Poco oltre, in prossimità della F.tta Moretti, si incrocia la strada brecciata che sale da Santa Croce. La si può percorrere oppure scendere poco sotto, sulla dx, per camminare sulla più antica sterrata. Prima di arrivare alla rotabile che sale dal Casello Autostradale di Tornimparte si incontra un fontanile con ampio spazio intorno, che può essere utilizzato come parcheggio per chi arriva in auto.

Si attraversa il lungo sottopasso in località Tavernolo e si arriva a Sant’Eramo, località caratterizzata da un lungo pianoro con numerosi casolari abbandonati (Cordeschi, Murri, Pupatti etc.). Si incontra un primo fontanile in cemento, con la scritta S. Erasmo in vernice, poi un altro piùantico indicato sulla carta IGM come F.te Pupatti, in pietra lavorata a grandi blocchi, su cui è scolpita l’iscrizione “1881 CRBP”. Qui si lascia la sterrata e si prende a destra, si costeggia un grande fabbricato diruto, che potrebbe essere stato una chiesa, e si arriva su una spianata rocciosa, una sorta di terrazzo che si affaccia sul vallone S. Onofrio, dov’è sospeso l’eremo. Il vallone scende fino al casello autostradale di Tornimparte, che per fortuna non si scorge. Per scendere all’eremo si costeggia l’orlo del precipizio verso sud e si segue il sentiero che scende per piegare poi verso destra.




Sentiero per chi arriva dal Casello autostradale di Tornimparte


A/R L 7 km

D+ 130 m

T 2:00 h

Per chi volesse abbreviare il percorso a piedi conviene arrivare dal Casello autostradale di Tornimparte, prendere per Campo Felice e dopo 4 km, alla curva, sotto un’altissima antenna, prendere a sinistra e lasciare l’auto in prossimità di un fontanile. A piedi si attraversa il lungo sottopasso in località Tavernolo e si prosegue secondo le indicazioni dell’itinerario precedente. Qui potete trovare la traccia GPX.


NOTE

[1] Con Mauro Congeduti condivido la medesima passione per i monti e per l’arte, e questi sentimenti ci hanno condotto in questa escursione e al sopralluogo all’eremo, che risale al 7 luglio 2021. Lo ringrazio per gli interessanti e stimolanti confronti che continuamente sorgono, per la chiara traduzione degli Atti e per alcune significative integrazioni di queste note.
[2] Aniceto Chiappini, “Lucoli medioevale”, in Bollettino della Deputazione Abruzzese di Storia Patria, XXXII (1941), pp. 5-49; anche in Rivista Abruzzese, Lanciano 1951; per estr., a c. Di M. Palumbo, Amministrazione Comunale di Lucoli, L’Aquila 1986 (di seguito citato Chiappini 1941). Il riferimento alla fondazione del monastero di San Giovanni di Collimento è a p. 19 sgg. (p. 23 sgg. nell’estratto). Padre Aniceto Chiappini (Lucoli, 1886 – L’Aquila, 1967) dell’Ordine dei Frati minori, bibliotecario in Sant’Antonio a Roma, è stato uno studioso corrispondente della Deputazione di Storia Patria d’Abruzzo e si è occupato in più occasioni della sua terra natia. È morto nel Convento di San Bernardino a L’Aquila.
[3] C. Marcotulli, “Il conte e l’abate. Incastellamento comitale e trasferimento dei poteri sui monti di Lucoli (Aq) da un’indagine di archeologia ‘leggera’ ”, in Temporis Signa, Rivista di archeologia della tarda antichità e del medioevo, III, C.I.S.A.M., p. 129.
[4] L’ipotesi che addirittura San Gregorio I detto Magno (590-604) possa aver fondato la cella lucolana è avanzata in S. Di Carlo – I. Di Iorio, I santi che svettano, Edizione Circolo Culturale Spazio Arte, L’Aquila 2019, pp. 19-20.
[5] Chiappini 1941, p. 20.
[6] Chiappini 1941, p. 21.
[7] Chiappini 1941, p. 28.
[8] Questo insediamento, ora quasi completamente scomparso (rimangono solo alcuni casolari abbandonati, Cordeschi, Murri, Pupatti etc.), doveva essere della tipologia che oggi chiameremmo “villaggio diffuso”, ovvero sparso sul territorio.
[9] Su San Franco di Assergi si veda D. Gianfrancesco, Assergi e San Franco eremita del Gran Sasso, Roma 1980; A. Clementi, Momenti del Medioevo abruzzese, Roma 1976, pp. 54-60 e 85-86; Id., L’organizzazione demica del Gran Sasso nel Medio Evo, L’Aquila 1991, pp. 36-43; San Franco di Assergi. Storia di eremitismo e santità alle pendici del Gran Sasso (atti del convegno, Assergi [L’Aquila], 2 giugno 2012), a cura di I. Fiordigigli, L’Aquila, Arkhé Edizioni. Si veda anche “San Franco eremita del Gran Sasso”, a cura della Soprintendenza PSAD, in D’Abruzzo. Turismo, cultura, ambiente, a. XVI (2003), n. 61, pp. 48-50, che trascrive i testi dell’omonimo documentario video, realizzato dalla Soprintendenza nel 2002, disponibile in rete a questo link.
[10] Il brano è stato tradotto da Mauro Congeduti, collazionando la trascrizione del Tomei con quella di Antonio Beatillo (si veda D. Gianfrancesco, op. cit. alla nota precedente, pp. 353-375).

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