Culto popolare di San Franco di Assergi - Processione del 13 agosto a località Pernagnova

Post Ivana F.Franco Dino Lalli in questo suo saggio ha voluto documentare uno dei culti in onore del Santo, ormai dimenticati, della tradizione popolare, Ne è rimasta traccia soltanto in qualche studioso di eremi, raccolta dalla voce popolare. 
Attraverso il racconto della sua nonna materna, gli appunti di Gino Faccia, una intervista con lui di approfondimento, oggi possiamo offrire questo apporto.
(Foto di Ivana F.)



NOTE SUL CULTO POPOLARE DI SAN FRANCO DI ASSERGI

di Franco Lalli

Una delle forme rituali del culto di San Franco di Assergi che si riferisce ad un tempo ormai lontano, quasi totalmente sconosciuta alle nuove generazioni, era la processione che si svolgeva il 13 agosto con la statua del Santo che raggiungeva, nella località delle Pernagnova vicino la chiesetta della Madonna delle Pernagnova a qualche chilometro dal paese, i pellegrini che si erano recati in quel giorno all’acqua di San Franco e con essi poi si dirigeva nella chiesa parrocchiale.

Le informazioni riguardanti sono testimonianza nelle parole di mia nonna materna che sintetizza brevemente: “… dopo la salita all’acqua di S. Franco si andava al Vasto a mangiare insieme e poi ad una certa ora si ripartiva per Assergi. Alle Pernagnova veniva il resto del popolo con la statua del Santo e poi in processione si tornava in chiesa”.

Di questa processione si ha notizia anche nell’opera di Edoardo Micati e Sofia Bosch Gaiano, Eremi d’Abruzzo e luoghi di culto rupestri 1: “All'acqua giungevano numerosi pellegrini, sobbarcandosi ad una ulteriore fatica dopo aver raggiunto Assergi. Per coloro che provenivano dall’alto Teramano attraverso il passo delle Capannelle probabilmente la sosta alla sorgente costituiva una tappa obbligata: la compagnia poteva così riposarsi e rifocillarsi prima di entrare in paese. Un tempo, coloro che erano rimasti in paese si recavano in processione, nella tarda mattinata, incontro a quelli che tornavano dalla sorgente. Li aspettavano presso una piccola edicola dedicata alla Madonna che si trova all'inizio della valle del Vasto, detta dai paesani della “Madonna delle Pernagnole”, ed insieme rientravano in paese. La tradizione di recarsi alle grotte del Santo è invece come già detto quasi scomparsa forse perché i fedeli hanno più comode alternative per onorare San Franco e minor spirito di sacrificio di un tempo. Anticamente tali visite dovevano essere limitate solo a quei pochi gruppi che intendevano pernottare sulla montagna per semplice devozione o nella speranza di grazie e sogni rivelatori.





Più esauriente è la testimonianza di Gino Faccia che racconta: “Fino agli anni Cinquanta del secolo scorso, il 13 agosto, al mattino presto, ci incontravamo con gli altri del paese alla Cona per incamminarci verso il Vasto e raggiungere l’acqua di San Franco dove si sarebbe celebrata la messa con il parroco e i pellegrini che giungevano dai paesi vicini, ma soprattutto dal Teramano a piedi. Ci volevano circa quattro ore per arrivare perciò si partiva di buon’ora. Giunti ci rifocillavamo tutti insieme, poi andavamo a bagnarci alla sorgente, pregavamo e restavamo ad aspettare il momento della celebrazione della messa. Intanto avevamo la possibilità di conoscere anche i pellegrini forestieri dei paesi vicini ma soprattutto del Teramano, giunti all’acqua a piedi. Qualcuno aveva anche pernottato sulla montagna. Molto spesso ho visto alcuni di essi spogliarsi e immergersi nell’acqua gelida per devozione e per chiedere grazie. Dopo la celebrazione della messa da parte del parroco di Assergi (una volta è venuto anche il vescovo dell’Aquila), scendevamo al Vasto, non prima di aver raccolto in bottiglie o taniche l’acqua che riportavano in casa per le occasioni. Lungo la strada raccoglievamo mazzi di “pelone”2 che conservavamo per devozione in casa. 




Ci fermavamo a mangiare vicino al Casale della Masseria Cappelli tutti insieme. Ad una certa ora, noi e i forestieri, ci preparavamo per rimetterci in cammino per tornare ad Assergi. Facevamo alcune soste e così arrivavamo alle Pernagnova dove attendevamo che, ad un’ora stabilita, arrivasse la processione dei paesani che non avevano potuto recarsi all’acqua di S. Franco con la statua del Santo. Ci incontravamo vicino all’edicola della Madonnella delle Pernagnova e da lì ci dirigevamo verso il paese. C’era molta gente, quasi tutto il paese che a quel tempo era molto popolato, perché era molto sentita questa processione. Sulla salita dalle Pernagnova al paese, in un punto stabilito, più o meno dove ora si trovano i ponti dell’autostrada, la processione si fermava per i fuochi d’artificio che in verità erano pochi. Subito dopo si procedeva per arrivare in chiesa per la messa che veniva celebrata all’occasione. Durante tutto il percorso si intonava il canto popolare della storia di S. Franco.”

L’evento descritto induce a trarre delle riflessioni sia sul suo svolgimento che sui rituali ad esso connesso.

La processione era l’unica che si svolgeva extra moenia, diversamente dalle altre che al massimo raggiungevano le zone limitrofe del paese. Essa si inoltrava, invece, nella campagna e ciò consente d’ipotizzare, in una società prevalentemente agricolo – pastorale, che un tale rituale fosse esplicato come un rito apotropaico, cioè di un rito attuato per allontanare influenze maligne, per auspicare la protezione per le campagne e per il raccolto, ma soprattutto per confermare e rafforzare l’immunità territoriale attraverso i patronati di San Franco, riferibili ai suoi miracoli, e cioè quelli contro le calamità naturali e gli assalti delle belve selvatiche. Era così ristabilire anche un’unità socioculturale della comunità che si riuniva e si identificava proprio nella figura e nei valori simbolici della figura del Santo.

La processione, l’incontro cioè tra gruppi diversi che incarnavano ruoli diversi (i più audaci nella visita alla sorgente e coloro che invece non avevano avuto la possibilità di farlo) rappresentava la ricerca di un’unità religiosa, culturale e sociale di una comunità che aveva la necessità di esplicarlo e ribadirlo nel nome e nel simbolo del suo santo protettore.

Fondamentale, inoltre, è sottolineare l’atmosfera di socialità e convivialità e anche il confronto con la ritualità di altri soggetti che si rintracciava nei vari momenti dell’evento: il cammino verso la sorgente, le forme rituali con l’acqua, la sosta per rifocillarsi, il ritorno al paese insieme con i pellegrini forestieri. Erano queste le occasioni per confrontare e rafforzare le condivisioni che erano alla base del culto del Santo e trattenerle nella memoria che diventava così un bene comune. Anche il semplice intonare il canto popolare nel cammino era un’ulteriore affermazione di tali motivazioni.

Pertanto, ricordare e rivalutare un tale evento, quasi ormai rimosso, è indispensabile per ricreare una persistenza della nostra identità da conservare nella memoria.



Note

1- Edoardo Micati e Sofia Bosch Gaiano, Eremi d’Abruzzo e luoghi di culto rupestri, Carsa Edizioni, 2000, pp. 192 – 193.


2- Pianta erbacea, perenne, che presenta ciuffi fitti di foglie che si dipartono dal suolo. Nome scientifico Stipa pennata o lino delle fate piumoso.


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