Giochi di una volta ad Assergi: IL TELEFONO (lab. Memorie)


Post e foto di Ivana Fiordigigli  (l'immagine di Antonio Meucci è presa da internet).


Il telefono 
di Franco Dino Lalli

Per noi il telefono era soltanto uno strumento strano di cui avevamo sentito parlare e ci meravigliammo poi, quando ne venimmo a conoscenza, della magia di cui disponeva tale diabolica invenzione. Non tutti, nel paese, si potevano permettere di possederne uno. Nel vicinato, a disposizione, c’erano soltanto quelli di una nostra vicina di casa e quello posto nel negozietto di genere alimentari e vari. Quando qualcuno, in particolare i parenti, ci telefonava, la vicina o la signora del negozio ci venivano ad avvertire di trovarci pronti quando la telefonata sarebbe arrivata e noi con trepidazione arrivavamo trafelati sul posto ad aspettare.





Da bambino quel telefono appeso al muro, così in alto che mi dovevo mettere su uno sgabello o una sedia per raggiungerlo, con la sua cornetta e il suo apparecchio completamente neri, così pesante da tenerlo in mano, mi incuteva paura. Ma ad un tratto esso si trasformava in qualcosa di magico quando dall'altro capo, lontana, mi arrivava una voce conosciuta e mi sentivo felice. Potevo sentirla tanto vicina che mi sembrava di accarezzarla quasi come se ne sentissi il soffio, anche se per pochi istanti, e benedissi dunque quella strana invenzione. Quel desiderio di poter parlare da lontano, di far trasportare le nostre voci a distanza, era così affascinante che qualcuno provò a sperimentarlo con la fantasia e con l’inventiva che poteva superare la tecnica.


Perciò, da adolescenti, provammo a costruire due cornette che non ci mettevano affatto paura perché erano due scatole di pomodori vuote alle quali bucavamo il fondo con un chiodo. Infilavamo a ognuna l’estremità del filo che svolgevamo poi per una certa distanza. Nella piazzetta allungammo il filo e ci disponemmo a una debita distanza in modo da non poterci vedere e provammo la prima conversazione che stranamente fu percepita dall’uno e dall’altro capo. Certo la non perfetta chiarezza della conversazione ci deluse, ma ci bastava poco per sentirci chissà quali inventori.

Oh, se avessimo solo potuto ipotizzare quanto ne saremmo diventati schiavi nell’avvenire!



Istruzioni di costruzione del telefono di Gino Faccia




- procurarsi due barattoli vuoti di pomodori;

- tagliare a tutti e due uno dei coperchi;

- fare un piccolo foro ai due fondi dei barattoli, un foro che possa permettere di infilare nell’uno e nell’altro i due capi di un lungo spago;

- la parte aperta di uno dei barattoli si avvicina alla bocca e si parla;

- l’altra parte aperta, del secondo barattolo, si avvicina all’orecchio e si ascolta.

I ruoli si possono alternare. Per una maggiore efficacia Gino suggerisce di sostituire in uno dei barattoli anche il secondo fondo con della carta, infilarci lo spago e poi parlare; l’efficacia dovrebbe essere maggiore.


Un po’ di storia





Il telefono fu inventato negli Stati Uniti dal fiorentino Antonio Meucci, che già nel 1854 aveva costruito il primo prototipo, il telettrofono, che usava in casa per poter parlare con la moglie a letto e malata.

Nel 1871 riuscì a presentare un brevetto temporaneo al prezzo di 10 dollari l’anno, non potendo permettersi quello definitivo. Riuscì a pagare solo due volte, cioè per due anni.

Fu a questo punto che Alexander Graham Bell presentò il suo brevetto e per anni fu considerato l’inventore del telefono e mise su una grossa compagnia telefonica. Meucci lo denunciò, ma perse la causa.

Soltanto nel 1887 la Corte Suprema degli Stati Uniti diede ragione ad Antonio Meucci, che morì povero nel 1889.

Nel 2002 il Congresso degli Stati Uniti riconobbe finalmente la sua paternità.

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