Giochi di una volta ad Assergi: "FLEZZA", "FIONNA", ARCO (lab. Memorie)
Elaborata e postato da Ivana Fiordigigli, contiene uno scritto di Franco Dino Lalli e riporta il racconto di Gino Faccia.
(Immagini prese da internet)
“Flezza”, "Fionna", Arco
Sono le armi che i ragazzi di una volta si costruivano per giocare alla guerra, anche se spesso riuscivano a rompere qualche vetro di finestra, ammazzare qualche gallina presa a bersaglio inconsapevole, a far male a qualcuno che inavvertitamente passava o ad uno dei compagni. Si capisce come fra i ragazzi, in competizione fra di loro, nascessero dei veri e propri esperti della manovra e funzionamento di queste antiche armi di difesa e di offesa.“Flezza”, cioè Frezza nel vocabolario del dialetto napoletano.
Gino spiega che un ragazzo, per costruirsi una “flezza”, bastava avesse: una forca con un manico, anche ricavata da un ramoscello accuratamente scelto, un elastico, un cappuccio di gomma che doveva reggere il proiettile.Sulla flezza e sulla sua costruzione, con una materia prima facile a trovare in Assergi, Franco Dino Lalli ci dà una serie di informazioni. Seguiamo la sua presentazione:
La "flezza" era uno strumento rudimentale che ognuno si costruiva per far valere la sua capacità costruttiva e “tecnica” nel confronto con gli altri. Si cercava un rametto biforcuto, a forma di Y e di legno abbastanza resistente, che funzionava da impugnatura. A esso si legavano strisce della gomma delle camere d’aria forate della bicicletta, più o meno spesse. A esse era legato un pezzo di tomaia che rubavamo dalle scarpe in disuso nella casa e in cui mettevamo il sasso che poi era lanciato prima tirando forte le strisce di gomma e rilasciandole poi per mandarlo il più lontano possibile.
C’era un piccolo accorgimento che ci serviva per non far sganciare gli elastici della frezza, quello di praticare dei leggeri incavi nel loro punto di attacco alla forcella.
La "flezza" era comunque quasi un’arma e ci sfidavamo a colpire bersagli diversi, bottiglie, barattoli e, purtroppo talvolta, inconsapevolmente, anche qualche vetro delle finestre per non parlare quando la rivolgevamo verso degli indifesi uccellini o i loro nidi.
La definizione di ”frezza” nel dizionario di italiano è “ciocca di capelli di colore diverso da quello dei capelli circostanti” e non ha alcuna attinenza con lo strumento per lanciare proiettili di cui stiamo parlando..
Per avere un significato attinente occorre vedere il vocabolario Napoletano/Italiano in cui accanto a “frezza” si richiamano le parole: freccia come proiettile a punta che si lancia con l’arco, dardo, saetta. Indicano esattamente il significato che stavamo cercando.
Parole elencate e attinenti: Frezza, frézza, frezzata.
Sicuramente questa è l’origine della parola dialettale assergese “flezza” ed i napoletani non sono stati estranei alla storia delle nostre zone, alternativamente appartenenti allo Stato della Chiesa o al Regno dei Borboni.
Nel Dizionario enciclopedico Treccani non c’è la parola “frezza”, ma spiegando la parola “fionda”, si mette un secondo significato, che corrisponde alla nostra “frezza”:
strumento usato dai ragazzi per il lancio di piccoli proiettili, fatto con due elastici fissati alle due estremità di un pezzo di legno o di ferro a forma di forca, e un pezzo di cuoio che li unisce contenente il proiettile (di solito un sasso) da lanciare.
“Fionna” (Fionda)
Un attrezzo completamente diverso è la “fionna”. Seguiamo il racconto di Gino Faccia:
E’ costituita da uno spago di canapa lungo circa due metri, da raddoppiare; un capo si fissa al dito indice, l’altro è quello che viene liberato al momento del lancio. Alla metà si inserisce un intreccio di canapa destinato a tenere il sasso da lanciare. Tenendo il braccio in alto il sasso viene fatto roteare sempre più velocemente, acquistando una notevole forza centrifuga; quando è il momento giusto e nella giusta direzione viene rilasciato un capo dello spago e il proiettile viene lanciato. La direzione e il colpire il bersaglio sono una questione di esperienza ed abilità di mira e di misura.
Lo spago, ruotato velocemente, ad un certo punto faceva anche “scopparola”, cioè schioccava come uno staffile agitato dal cocchiere di una biga o di un carretto.
Noi ragazzi giocavamo con “fionna” e “flezza” a chi tirava più lontano e con più precisione. In genere io ero sempre il primo.
Una volta ho tirato un sasso dal muretto di “’na Porta” ed ho rotto il vetro di una finestra de “ju Console”. E’ rimasto talmente meravigliato del sasso lanciato da così lontano, che non mi ha fatto nemmeno pagare i danni!
Arco
Anche qui ci dà qualche informazione, su come i ragazzi un tempo se lo costruissero, il racconto di Gino.
In tempi passati si usavano in campagna o in montagna quegli ombrelloni molto grandi, detti anche “Romani” dalla “ R” che recavano sul manico; questi avevano delle bacchette spesse e lunghe, un ottima materia prima per fare l’arco, legando le due stremità con un o spago.
Un’altra bacchetta di ferro dell’ombrello faceva da freccia; veniva fatta una “ntacchetta” lungo il ferro all’estremità, vicina allo spago, per reggere la freccia.
Tendendo l’arco e tirando indietro la freccia, lasciando lo spago all’improvviso, questa partiva. Spesso, giocando, si è anche uccisa qualche gallina!!!...
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