La nostra "Piazza del Campo" di Lorenzo Giusti- (lab. memorie: i luoghi)


Post di Ivana Fiordigigli

In un articolo del 22 febbraio su questo sito Franco Dino Lalli aveva portato la nostra attenzione su un luogo di Assergi importantissimo anche per i ragazzi, che a volte se ne impadronivano eleggendolo a loro territorio:

"La piazza era dunque un punto di ritrovo importante nel quale ci potevamo dedicare a sfrenate corse ma soprattutto a interminabili partite di pallone tra squadre che si formavano al momento...
La piazza ci accoglieva per buona parte dell’anno, in quasi tutte le ore del giorno quando eravamo liberi dagli impegni della scuola o di altro genere ed era vissuta così intensamente che al vederla così spoglia e solitaria oggi non ci restano altro che rimpianti."

I ragazzi delle varie generazioni, che si sono succedute, anche materialmente hanno cercato di lasciare un segno del loro predominio proprio in quella piazza così importante da costituire il centro nevralgico del paese nelle più varie occasioni: le festività annuali, la Domenica, le feste patronali, i matrimoni, i funerali.
In ogni occasione, bella o brutta, importante o meno, la piazza con la sua chiesa, la sua fontana, gli edifici sfuggenti tra archi e vicoli misteriosi, faceva da adeguata cornice agli eventi.
Quando restava vuota e silenziosa, ecco che apparivano a gruppi i ragazzi a viverla ed animarla.
Prima degli ultimi recenti lavori di restauro della chiesa sono riuscita a cogliere una scritta un po' svanita fra le pietre della facciata, a dare la dimensione dell'impatto giocoso dei ragazzi e del desiderio di fare della piazza il proprio territorio. Chissà a quanti anni fa e a quale generazione di ragazzi risale! 
Inserisco la foto come curiosità, ma è una "impresa" da non ripetere, perché si rischia di danneggiare e deturpare la bella facciata in pietra della chiesa "S. Maria Assunta".
La frase è: "QUA SE FA A PALLA".






Proviamo adesso a rivivere e ripercorrere la piazza attraverso il ricordo di uno dei ragazzi che vi hanno giocato, Renzo Giusti E' un articolo di qualche anno fa e, di seguito, lo riportiamo.



La nostra "Piazza del Campo"

di Lorenzo Giusti






Piazza del Campo a Siena è una delle piazze medioevali più belle d’Italia, famosa anche per il Palio che vi si corre due volte l’anno. Molti giustamente si chiederanno cosa possa legare questo luogo ad Assergi: l’accostamento potrebbe sembrare irriverente anche se la piazza del proprio paese è sempre la più bella.

In realtà si tratta solo di una scherzosa ed occasionale ridenominazione della nostra piazza che scaturisce dai ricordi ad essa legati.

La centralità della piazza nella vita del paese è oggi strettamente legata alle funzioni religiose ed alla presenza della Chiesa, presenza certo importante per preziosità architettonica e valenza spirituale.

Tuttavia noi ricordiamo anche un’altra maniera, più terrena, di vivere la piazza. Essa costituiva, infatti, l’unico spazio aperto di grandi dimensioni esistente all’interno del paese ed è quindi logico che, quando eravamo bambini o ragazzi, diventasse un luogo di corse sfrenate, di sudate furibonde, insomma un campo di calcio.

In tal modo la piazza manteneva la funzione essenziale di essere un punto d’incontro di ritrovo almeno per i giovani, essendo invece la Porta il luogo storico di ritrovo per gli adulti.

Bastava del resto aggiungere un po’ di fantasia alla sua configurazione planimetrica per farla diventare un campo di calcio ed oggi, passandoci, quel campo lo rivedo ancora.

La base del campanile era al posto giusto e con le dimensioni giuste per essere una delle porte, l’altra era ricavata al lato opposto tra un sasso ed un angolo di casa, mentre la cunetta centrale era un’ideale linea di metà campo.

Una conta veloce per fare le squadre e via, cominciavamo interminabili partite con Giulio, Enzo, Elio, Ascenzo, Luigino, Berardino (ross e picchele), Franchino Sabatini e i suoi funambolici dribblings, Franchino Scarcia e le sue rabbiose rincorse, Mimino e tutti gli altri che ricorderanno quei momenti, come Gianni, Dino e Peppino, spesso persi (già allora) in astrusi discorsi metafisici a centrocampo mentre il pallone girava loro intorno.

Il pallone poteva essere anche qualcosa che vagamente lo ricordasse, grande o piccolo, gonfio o sgonfio, rotondo o semiovale, “na scorcia”, che rotolasse per correrci dietro e prenderla a calci. Ricordo le pallonate ai muri secolari della Chiesa, alle finestre, agli “alboretti”, agli oleandri di Serafina. Era bello prendere il mondo a pallonate.

Era anche naturale che tanto irriverente baccano destasse talvolta le benevole ire di Don Demetrio, dei Carabinieri, del bastone di De Luca, ma in fondo anche loro facevano parte del gioco.

Si giocava a tutte le ore del giorno, col sole cocente d’estate o col nevischio d’inverno. Solo nel periodo autunnale si “transumava” verso i prati della valle del Raiale, finché l’erba poteva essere calpestata.

Allora in verità sognavamo di giocare su un campo vero, ma quando abbiamo potuto farlo ci siamo resi conto che le sensazioni provate in quelle estenuanti partite in piazza sarebbero state irripetibili.

Era come avere uno stadio dentro il paese, la piazza diventava una cosa viva, un cuore pulsante.

Del resto le piazze delle città e dei borghi medioevali erano luoghi associativi per definizione dove gli uomini s’incontravano, commerciavano, predicavano, scambiavano parentele ed alleanze politiche e giocavano anche. Giocarci a pallone costituiva quindi un’inconsapevole sublimazione temporale di questa funzione storica della piazza.

Ed oggi che nessuno, chissà perché, gioca più a pallone nella piazza, essa dà la stessa sensazione di solitudine che si prova quando si entra in uno stadio deserto.



Le voci e le grida che l’animavano rivivono lontane ed indistinte nella memoria di chi le ha vissute e Piazza del Campo, restituita al silenzio sacrale della sua Chiesa, somiglia ora, da questo particolare punto di vista, più ad una agorà greca o ad un foro romano, bellissima, ma anche vuota, troppo vuota.


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