Giochi di una volta ad Assergi: SBATTIMURE (lab. memorie)
Presentazione del gioco di Franco Dino Lalli
Con i pochissimi spiccioli donati dai nostri genitori o dai nonni, o qualche volta “rubati” dal loro portamonete, ma in quantità minima, praticavamo il gioco di ”sbattimure” ad Assergi.
All’inizio si stabiliva la "misura", che di solito consisteva in quella del palmo della mano, con cui procedere alla misurazione della distanza tra le monete per poter essere vinte. Il palmo della mano era una misura del tutto individuale, arbitraria, non convenzionale che quindi provocava non poche discussioni e rivalità tra i giocatori, ma era quasi sempre accettata.
Chi doveva iniziare il gioco iniziava nello sbattere con più forza possibile una moneta contro il muro in modo che essa potesse ricadere il più lontano possibile. Toccava poi al secondo che cercava di sbattere la moneta in modo tale che potesse ricadere il più vicino possibile alla precedente. Misurata la distanza vinceva la moneta se la distanza tra le due era uguale o minore alla misura del suo palmo.
Una variante del gioco consisteva nel lanciare una moneta contro un muro tenendola fra il pollice e l’indice e, facendo scattare il pollice come una molla, la moneta doveva rimbalzare contro il muro e depositarsi ad una certa distanza. Secondo l’ordine stabilito a mano a mano tutti lanciavano la loro moneta e dal secondo giocatore ognuno poteva controllare se ne aveva vinto una sempre utilizzando la misurazione del palmo della mano. Il vincitore poteva effettuare anche un secondo tiro e provare a vincerne altre. Chi aveva perso la sua moneta poteva continuare a partecipare al gioco soltanto lanciandone una nuova. Il gioco terminava fino a quando non c’erano più monete perché erano state vinte o fino a quando non si decideva di smettere.
Il gioco era effettuato anche con i bottoni. Ce li procuravamo rovistando dentro i cassetti dove le mamme ne custodivano in buona misura per sopperire, quando necessario, alla mancanza nei vari capi di abbigliamento. Per noi erano una fonte di orgoglio possederne per il gioco. Tra i vari bottoni cercavamo spesso quelli più grandi e più belli, i “zolloni”, di solito quelli dei cappotti o delle giacche che divenivano una merce di scambio. Infatti, quando ad esempio durante il gioco rimanevamo a mani vuote, procedevamo al cambio dei zolloni barattandoli con altri bottoni nella misura che stabilivamo con gli altri compagni e così potevamo continuare le sfide a sbattimure.
Qualche altra informazione di Ivana Fiordigigli
L'Enciclopedia Treccani così definisce il gioco del "battimuro":
Gioco
di ragazzi che consiste nel gettare una moneta contro il muro in modo
che rimbalzi: chi riesce a far cadere la propria più vicino al muro,
o più lontano (se così si decide), oppure, in una variante, più
vicino a quella di un altro giocatore, vince e intasca le monete
degli avversarî. Si gioca anche con figurine, bottoni e altri
oggetti.
Questo gioco veniva già praticato in epoca romana e fu inserito nei "Ludi Apollinari" da Fulvio Gaio Proculo su ordine di Nerone; ha quindi un’antica origine.
Era un gioco molto semplice: per divertirsi bastava qualche compagno, qualche moneta, o dei bottoni, ad Assergi detti “zolle”, e un muro su cui farle rimbalzare. Il rischio era perdere tutte le monetine o tutti i bottoni!
E’ da considerare che, in fondo, questo gioco rientra nella categoria dei “giochi d’azzardo” e, se giocato con monete di valore e non monetine, poteva portare anche a perdere tanto.
Dal sito “nonciclopedia.org” cito (Puccione da Gradasso, Sonetti di un venditore di carrube, Firenze 1234, Ed. Mirandolina.) il seguente lamento:
Eo
maladico lo battimur giocato,
che pria fu svago et poi
disaventura,
lo villico che avea braccio fatato,
cagion fu
di mia borsa la svuotura.
Occorre qui riportare la seguente poesia in dialetto dell’assergese Angelo Acitelli (da Scura Mea):
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