Assergi – LE MURA (lab. memorie: i luoghi)

 

di Ivana Fiordigigli

La testimonianza di Giacomo Sansoni, prima di parlare dell’ultimo restauro eseguito nel 2012/2013, si offre come una sofferta rievocazione della grandezza ed imponenza delle mura di Assergi, attentamente ripercorse, in uno sguardo sofferto, da un lato sulle ferite inflitte dallo scorrere dei secoli e da tragedie come quelle dei terremoti, dall’altro sulle offese arrecate dall’uomo per “incuria, trascuratezza, sfruttamento utilitaristico”.

Il processo di ricostruzione post terremoto poteva essere una buona opportunità per ridisegnare i contorni del borgo con attenzione e rispetto alle sue testimonianze storiche. Di cosa ci sarebbe stato bisogno? “Tempestività, avvedutezza, coraggio, forse visionarietà; saper cogliere le opportunità”. Quanti hanno saputo o sanno farlo?

Foto di Aldo Ippoliti

Voglio adesso riportare la descrizione delle mura fatta da tre autori e storici: Nicola Tomei; Vincenzo Moscardi; Demetrio Gianfrancesco.

Le mura di Assergi vengono così descritte nella Dissertazione di Nicola Tomei, pubblicata in Napoli nel 1791 presso l’Editore Giuseppe Coda, pp. 1 e 2:

Formano il suo recinto ben forti, ed alte mura fabricate con tenace cemento da resistere ad ogn’ingiuria di tempo, e di stagione, e la larghezza di palmi quattro, oltre la scarpa da piedi, che supera i palmi quattro. Si vedono ancora i residui della stradella, che correva nella sommità delle mura, delle quali due palmi formavano la stradella, e due altri si alzavano per formare il parapetto per sicurezza dei Difensori, che potevano in tempo di assalti girare per la stradella, ed essere custoditi dal parapetto. Si vedono ancora in due luoghi le scale per poter salire alle stradelle, quando il bisogno lo richiedeva. Sorgono dalle mura dodici Torri in competente distanza colle lor finestrine da potere offendere gli Assalitori. Vi sono tre porte, né vi è altra apertura da poter entrare, ed uscire. Dalla parte interiore correva una strada intorno intorno alle mura, che non era impedita da alcuna casa; ma presentemente più di una vi si vede accostata, che ha impedito l’antico passo. Dentro il recinto non alloggiano bestiami, ma le Stalle, gli Orti, e le Aje sono nelle vicinanze fuori delle mura.

Le immense spese fatte nella fabbrica delle mura, delle Torri, delle strade, delle fontane dinotano la ricchezza, la potenza, e la nobile idea di questo Popolo nei secoli trasandati.

Foto di Roberta Censorii

In uno scritto del 1895/96 Vincenzo Moscardi si sofferma anche lui sulla cinta muraria di Assergi:

Fa veramente meraviglia e stupore come, dopo l’opera distruttrice di tanti secoli, Assergi mantenga tuttora ai giorni nostri l’imponente aspetto di un bel castello fortificato. Un tempo doveva essere certamente cinto intorno da alte mura e solidissime torri. Ora le mura si scorgono ancora in alcuni punti isolati del paese essendo negli altri scomparse sotto le nuove fabbriche sorte ad uso di abitazione innalzatevi man mano dalla crescente popolazione, ma non sì che chiare vestigia non ne appariscano nelle solide e annerite fondamenta.

Le stalle, i fienili e le aie sono tutte poste fuori del villaggio, a un cento metri di distanza; il qual fatto, degno veramente di essere imitato da quanti si vantano paesi civili, non poco influisce alla nettezza e alla igiene del luogo.

Per tre Porte si entra nel paese, delle quali la principale guarda ad oriente e tiene per eccellenza il semplice nome di “porta”, mentre le altre due prendono una denominazione speciale, l’una “del colle”, perché posta in posizione elevata, l’altra “del rio” perché la più vicina al fiume che scorre giù nel fondo della valle. Sulla prima porta è costruita una bella torre, che ha sulla cima un grazioso orologio.


Dopo quasi due secoli dal Tomei, vediamo la descrizione delle mura e del loro stato nel libro di Demetrio Gianfrancesco (“Assergi e San Franco”, Roma, 1980), che definisce il borgo storico, il Castello di Assergi, un “tipico esempio di villaggio murato”:

Le antiche grosse mura di cinta sono ancora parzialmente dritte nella parte di nord-ovest. Erano isolate dai fabbricati da un raccordo anulare interno, interrotto soltanto dal tempio di S. Maria Assunta, che fungeva, esso stesso, da bastione di sicurezza. Un indizio dovrebbe riscontrarsi, all’angolo destro della facciata in pietra della chiesa, nel tratto grezzo, con base sporgente, probabile residuo del caduto muraglione. Alla sommità del quale girava una stradella, schermata da un parapetto di protezione per i difensori. Dodici torri con feritoie verticali e rotonde per spiamento e puntamento di armi, si ergevano a conveniente distanza strategica lungo il perimetro della muraglia, alta circa sei metri.

Ancora oggi se ne identificano una decina, più o meno modificate o rovinate: da quella della Porta del Rio, con un pertugio tondo alla base, a quella della Porta del Colle, con una feritoia intatta, a quella della Porta orientale, detta semplicemente “la Porta”, a quella, appena accennata, dell’orto parrocchiale, riparata nel 1965. Questi rari ed arcaici resti sono stati restaurati dal Comune dell’Aquila agli inizi degli anni settanta (il precedente intervento di restauro risale al 1863 con lo stanziamento di lire 500 per accomodi al Treo di Camarda e per i restauri nella mura comunali di Assergi).

Forse originariamente l’attuale “Porta” dell’orologio costituiva l’unico ingresso al Castello. Poi furono praticati altri due varchi, denominati, dalla loro ubicazione, Porta del Colle, in alto, ancora esistente, e Porta del Rio, distrutta, purtroppo, nei primi anni di questo secolo, la quale si trovava verso la valle del Raiale.


Foto di Ivana Fiordigigli

Lungo la stradella interna delle mura, che porta alla Porta del Colle, c’è la testimonianza del tragico evento della peste del 1656, che colpì anche Assergi verso la metà di agosto: una nicchietta mariana ricavata nella parte interna della mura, detta “Pestérola” o “Pistérola” o “Pestérvola”. Dice Demetrio Gianfrancesco che essendosi tutta scolorita l’immagine, nel giugno del 1976 vi è stato collocato un pannello di maioliche con la figura di una Madonna con Bambino, particolare di un dipinto di Giovanni Battista Gaulli, detto Baciccio, il quale nel 1657 rimase solo perché tutti i suoi familiari morirono di peste; riproduzione su maiolica di Evelina Pogliani in Pica Alfieri.


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