San Francesco, il primo incontro con Cristo nella carne viva, i lebbrosi (di Antonio Tarallo)

 

 Articolo segnalato da Mimina e ripreso da: SANFRANCESCOPATRONODITALIA.IT

L’inizio della missione di San Francesco accanto ai derelitti delle società

“Il Signore dette a me, frate Francesco, di incominciare a fare penitenza così: quando ero nei peccati mi sembrava cosa troppo amara vedere i lebbrosi e il Signore stesso mi condusse tra loro e usai con essi misericordia. E allontanandomi da essi, ciò che mi sembrava amaro mi fu cambiato in dolcezza d’animo e di corpo. E di poi, stetti un poco e uscii dal mondo”. Così recita il Testamento di san Francesco. Con queste parole, il frate di Assisi racconta la sua conversione, il suo avvicinamento a Dio, grazie al contatto con i lebbrosi. Cum-tacto, sostantivo importante per ogni cristiano: “Il Signore dette a me, frate Francesco, di incominciare a fare penitenza così: quando ero nei peccati mi sembrava cosa troppo amara vedere i lebbrosi e il Signore stesso mi condusse tra loro e usai con essi misericordia. E allontanandomi da essi, ciò che mi sembrava amaro mi fu cambiato in dolcezza d’animo e di corpo. E di poi, stetti un poco e uscii dal mondo”. Così recita il Testamento di san Francesco. Con queste parole, il frate di Assisi racconta la sua conversione, il suo avvicinamento a Dio, grazie al contatto con i lebbrosi. Cum-tacto, sostantivo importante per ogni cristiano: contatto, stare vicino, dunque. Con il corpo. E’ importante soffermarsi su come proprio grazie al “contatto” coi lebbrosi, il Poverello d’Assisi decida di cambiare radicalmente la propria vita. Ci viene in aiuto la Parola per approfondire il termine: Gesù per salvare “tocca” il malato. Non è un mago, non ha bacchetta magica di nessuna sorta. Questa corporeità presente nella Scrittura, la ritroviamo in frate Francesco che si immerge nei luoghi della sofferenza per prenderne parte. 


 


La chiesetta romanica di Santa Maria Maddalena - in origine probabilmente denominata di San Lazzaro - si trova a circa un chilometro di distanza dal santuario del Sacro Tugurio di Rivotorto, lungo la strada che conduce a Santa Maria degli Angeli. Questo luogo, la chiesetta romanica di Maria Maddalena, viene considerata dai più (con la chiesa di San Rufino in Arce) il luogo destinato in Assisi, al tempo di San Francesco, come ospedale principale dei lebbrosi. Molti sono gli elementi che portano a stabilire che quello sia stato il luogo non solo del primo incontro di san Francesco con il lebbroso ma anche il luogo della sua scelta di vivere con i lebbrosi, come ci testimoniano san Bonaventura e altre Fonti francescane. 


 


Questo episodio che si potrebbe definire l’ “incipit” della sua missione - così forte, così profondo - è un evento che rimarrà nella memoria del santo, per sempre: l’abbraccio al lebbroso, il porsi al servizio dei lebbrosi e la vita condivisa con loro, occupano un posto determinante, tanto da essere considerati come la tappa iniziale della sua conversione. Secondo il Testamento sembra quasi che nella memoria di Francesco quell’esperienza avesse preso il posto dell’incontro con il Crocifisso di San Damiano; l’esser cioè passato da un incontro con un Crocifisso dipinto su una tavola di legno ad un Crocifisso “vivo”, “in carne ed ossa”. San Bonaventura ci tramanda che Francesco, prima della conversione “aborriva non solo la compagnia dei lebbrosi, ma perfino il vederli da lontano. Dopo, a causa di Cristo crocifisso che, secondo le parole del profeta, ha assunto l’aspetto spregevole di un lebbroso, li serviva con umiltà e gentilezza, nell’intento di raggiungere il pieno disprezzo di se stesso. Visitava spesso le case dei lebbrosi; elargiva loro generosamente l’elemosina e con grande compassione ed affetto baciava loro le mani e il volto’.


 


Grazie alle norme previste dagli Statuti comunali per i lebbrosi in Assisi nel Medioevo, siamo a conoscenza di come potessero presentarsi al cospetto della gente, e - dunque - dello stesso Francesco.  Gli ammalati di lebbra erano chiusi nelle loro cappe e tuniche di gattinello, stanati dai loro rifugi, inseguiti a gran corsa dai custodi del Podestà. Addirittura coloro che assistevano i lebbrosi negli ospedali, avevano il diritto di girare armati, tanta era la paura che incutevano.  


 


San Francesco, da quel famoso episodio decise per i suoi “discepoli” che si  dedicassero a questo servizio, con umiltà e amore: l’incontro con questi “appestati” era l’incontro con Cristo. L’immaginazione moderna corre a un’altra figura del secolo scorso che visse profondamente questa missione: Santa Teresa di Calcutta. Ma ritorniamo nell’Assisi medievale, ritorniamo al “nostro” frate Francesco. Tanta era la sua attenzione a loro, a “Il Signore dette a me, frate Francesco, di incominciare a fare penitenza così: quando ero nei peccati mi sembrava cosa troppo amara vedere i lebbrosi e il Signore stesso mi condusse tra loro e usai con essi misericordia. E allontanandomi da essi, ciò che mi sembrava amaro mi fu cambiato in dolcezza d’animo e di corpo. E di poi, stetti un poco e uscii dal mondo”. Così recita il Testamento di san Francesco. Con queste parole, il frate di Assisi racconta la sua conversione, il suo avvicinamento a Dio, grazie al contatto con i lebbrosi. Cum-tacto, sostantivo importante per ogni cristiano: contatto, stare vicino, dunque. Con il corpo. E’ importante soffermarsi su come proprio grazie al “contatto” coi lebbrosi, il Poverello d’Assisi decida di cambiare radicalmente la propria vita. Ci viene in aiuto la Parola per approfondire il termine: Gesù per salvare “tocca” il malato. Non è un mago, non ha bacchetta magica di nessuna sorta. Questa corporeità presente nella Scrittura, la ritroviamo in frate Francesco che si immerge nei luoghi della sofferenza per prenderne parte. 


 


La chiesetta romanica di Santa Maria Maddalena - in origine probabilmente denominata di San Lazzaro - si trova a circa un chilometro di distanza dal santuario del Sacro Tugurio di Rivotorto, lungo la strada che conduce a Santa Maria degli Angeli. Questo luogo, la chiesetta romanica di Maria Maddalena, viene considerata dai più (con la chiesa di San Rufino in Arce) il luogo destinato in Assisi, al tempo di San Francesco, come ospedale principale dei lebbrosi. Molti sono gli elementi che portano a stabilire che quello sia stato il luogo non solo del primo incontro di san Francesco con il lebbroso ma anche il luogo della sua scelta di vivere con i lebbrosi, come ci testimoniano san Bonaventura e altre Fonti francescane. 


 


Questo episodio che si potrebbe definire l’ “incipit” della sua missione - così forte, così profondo - è un evento che rimarrà nella memoria del santo, per sempre: l’abbraccio al lebbroso, il porsi al servizio dei lebbrosi e la vita condivisa con loro, occupano un posto determinante, tanto da essere considerati come la tappa iniziale della sua conversione. Secondo il Testamento sembra quasi che nella memoria di Francesco quell’esperienza avesse preso il posto dell’incontro con il Crocifisso di San Damiano; l’esser cioè passato da un incontro con un Crocifisso dipinto su una tavola di legno ad un Crocifisso “vivo”, “in carne ed ossa”. San Bonaventura ci tramanda che Francesco, prima della conversione “aborriva non solo la compagnia dei lebbrosi, ma perfino il vederli da lontano. Dopo, a causa di Cristo crocifisso che, secondo le parole del profeta, ha assunto l’aspetto spregevole di un lebbroso, li serviva con umiltà e gentilezza, nell’intento di raggiungere il pieno disprezzo di se stesso. Visitava spesso le case dei lebbrosi; elargiva loro generosamente l’elemosina e con grande compassione ed affetto baciava loro le mani e il volto’.


 


Grazie alle norme previste dagli Statuti comunali per i lebbrosi in Assisi nel Medioevo, siamo a conoscenza di come potessero presentarsi al cospetto della gente, e - dunque - dello stesso Francesco.  Gli ammalati di lebbra erano chiusi nelle loro cappe e tuniche di gattinello, stanati dai loro rifugi, inseguiti a gran corsa dai custodi del Podestà. Addirittura coloro che assistevano i lebbrosi negli ospedali, avevano il diritto di girare armati, tanta era la paura che incutevano.  


 


San Francesco, da quel famoso episodio decise per i suoi “discepoli” che si  dedicassero a questo servizio, con umiltà e amore: l’incontro con questi “appestati” era l’incontro con Cristo. L’immaginazione moderna corre a un’altra figura del secolo scorso che visse profondamente questa missione: Santa Teresa di Calcutta. Ma ritorniamo nell’Assisi medievale, ritorniamo al “nostro” frate Francesco. Tanta era la sua attenzione a loro, a questi sofferenti, che il Sereafico padre chiedeva perfino ai nobili o alle persone di cagionevole salute che si presentavano per essere ammessi all’Ordine, di svolgere la propria missione in mezzo ai lebbrosi. Nella Regola ordinava anzi, che in caso di evidente necessità, i frati potessero raccogliere elemosine (fatto del tutto eccezionale, visto il voto di povertà) solamente per i lebbrosi.   “Il Signore dette a me, frate Francesco, di incominciare a fare penitenza così: quando ero nei peccati mi sembrava cosa troppo amara vedere i lebbrosi e il Signore stesso mi condusse tra loro e usai con essi misericordia. E allontanandomi da essi, ciò che mi sembrava amaro mi fu cambiato in dolcezza d’animo e di corpo. E di poi, stetti un poco e uscii dal mondo”. Così recita il Testamento di san Francesco. Con queste parole, il frate di Assisi racconta la sua conversione, il suo avvicinamento a Dio, grazie al contatto con i lebbrosi. Cum-tacto, sostantivo importante per ogni cristiano: contatto, stare vicino, dunque. Con il corpo. E’ importante soffermarsi su come proprio grazie al “contatto” coi lebbrosi, il Poverello d’Assisi decida di cambiare radicalmente la propria vita. Ci viene in aiuto la Parola per approfondire il termine: Gesù per salvare “tocca” il malato. Non è un mago, non ha bacchetta magica di nessuna sorta. Questa corporeità presente nella Scrittura, la ritroviamo in frate Francesco che si immerge nei luoghi della sofferenza per prenderne parte. 


 


La chiesetta romanica di Santa Maria Maddalena - in origine probabilmente denominata di San Lazzaro - si trova a circa un chilometro di distanza dal santuario del Sacro Tugurio di Rivotorto, lungo la strada che conduce a Santa Maria degli Angeli. Questo luogo, la chiesetta romanica di Maria Maddalena, viene considerata dai più (con la chiesa di San Rufino in Arce) il luogo destinato in Assisi, al tempo di San Francesco, come ospedale principale dei lebbrosi. Molti sono gli elementi che portano a stabilire che quello sia stato il luogo non solo del primo incontro di san Francesco con il lebbroso ma anche il luogo della sua scelta di vivere con i lebbrosi, come ci testimoniano san Bonaventura e altre Fonti francescane. 


 


Questo episodio che si potrebbe definire l’ “incipit” della sua missione - così forte, così profondo - è un evento che rimarrà nella memoria del santo, per sempre: l’abbraccio al lebbroso, il porsi al servizio dei lebbrosi e la vita condivisa con loro, occupano un posto determinante, tanto da essere considerati come la tappa iniziale della sua conversione. Secondo il Testamento sembra quasi che nella memoria di Francesco quell’esperienza avesse preso il posto dell’incontro con il Crocifisso di San Damiano; l’esser cioè passato da un incontro con un Crocifisso dipinto su una tavola di legno ad un Crocifisso “vivo”, “in carne ed ossa”. San Bonaventura ci tramanda che Francesco, prima della conversione “aborriva non solo la compagnia dei lebbrosi, ma perfino il vederli da lontano. Dopo, a causa di Cristo crocifisso che, secondo le parole del profeta, ha assunto l’aspetto spregevole di un lebbroso, li serviva con umiltà e gentilezza, nell’intento di raggiungere il pieno disprezzo di se stesso. Visitava spesso le case dei lebbrosi; elargiva loro generosamente l’elemosina e con grande compassione ed affetto baciava loro le mani e il volto’.


 


Grazie alle norme previste dagli Statuti comunali per i lebbrosi in Assisi nel Medioevo, siamo a conoscenza di come potessero presentarsi al cospetto della gente, e - dunque - dello stesso Francesco.  Gli ammalati di lebbra erano chiusi nelle loro cappe e tuniche di gattinello, stanati dai loro rifugi, inseguiti a gran corsa dai custodi del Podestà. Addirittura coloro che assistevano i lebbrosi negli ospedali, avevano il diritto di girare armati, tanta era la paura che incutevano.  


 


San Francesco, da quel famoso episodio decise per i suoi “discepoli” che si  dedicassero a questo servizio, con umiltà e amore: l’incontro con questi “appestati” era l’incontro con Cristo. L’immaginazione moderna corre a un’altra figura del secolo scorso che visse profondamente questa missione: Santa Teresa di Calcutta. Ma ritorniamo nell’Assisi medievale, ritorniamo al “nostro” frate Francesco. Tanta era la sua attenzione a loro, a questi sofferenti, che il Sereafico padre chiedeva perfino ai nobili o alle persone di cagionevole salute che si presentavano per essere ammessi all’Ordine, di svolgere la propria missione in mezzo ai lebbrosi. Nella Regola ordinava anzi, che in caso di evidente necessità, i frati potessero raccogliere elemosine (fatto del tutto eccezionale, visto il voto di povertà) solamente per i lebbrosi.   questi sofferenti, che il Sereafico padre chiedeva perfino ai nobili o alle persone di cagionevole salute che si presentavano per essere ammessi all’Ordine, di svolgere la propria missione in mezzo ai lebbrosi. Nella Regola ordinava anzi, che in caso di evidente necessità, i frati potessero raccogliere elemosine (fatto del tutto eccezionale, visto il voto di povertà) solamente per i lebbrosi.   contatto, stare vicino, dunque. Con il corpo. E’ importante soffermarsi su come proprio grazie al “contatto” coi lebbrosi, il Poverello d’Assisi decida di cambiare radicalmente la propria vita. Ci viene in aiuto la Parola per approfondire il termine: Gesù per salvare “tocca” il malato. Non è un mago, non ha bacchetta magica di nessuna sorta. Questa“Il Signore dette a me, frate Francesco, di incominciare a fare penitenza così: quando ero nei peccati mi sembrava cosa troppo amara vedere i lebbrosi e il Signore stesso mi condusse tra loro e usai con essi misericordia. E allontanandomi da essi, ciò che mi sembrava amaro mi fu cambiato in dolcezza d’animo e di corpo. E di poi, stetti un poco e uscii dal mondo”. Così recita il Testamento di san Francesco. Con queste parole, il frate di Assisi racconta la sua conversione, il suo avvicinamento a Dio, grazie al contatto con i lebbrosi. Cum-tacto, sostantivo importante per ogni cristiano: contatto, stare vicino, dunque. Con il corpo. E’ importante soffermarsi su come proprio grazie al “contatto” coi lebbrosi, il Poverello d’Assisi decida di cambiare radicalmente la propria vita. Ci viene in aiuto la Parola per approfondire il termine: Gesù per salvare “tocca” il malato. Non è un mago, non ha bacchetta magica di nessuna sorta. Questa corporeità presente nella Scrittura, la ritroviamo in frate Francesco che si immerge nei luoghi della sofferenza per prenderne parte. 


 


La chiesetta romanica di Santa Maria Maddalena - in origine probabilmente denominata di San Lazzaro - si trova a circa un chilometro di distanza dal santuario del Sacro Tugurio di Rivotorto, lungo la strada che conduce a Santa Maria degli Angeli. Questo luogo, la chiesetta romanica di Maria Maddalena, viene considerata dai più (con la chiesa di San Rufino in Arce) il luogo destinato in Assisi, al tempo di San Francesco, come ospedale principale dei lebbrosi. Molti sono gli elementi che portano a stabilire che quello sia stato il luogo non solo del primo incontro di san Francesco con il lebbroso ma anche il luogo della sua scelta di vivere con i lebbrosi, come ci testimoniano san Bonaventura e altre Fonti francescane. 


 


Questo episodio che si potrebbe definire l’ “incipit” della sua missione - così forte, così profondo - è un evento che rimarrà nella memoria del santo, per sempre: l’abbraccio al lebbroso, il porsi al servizio dei lebbrosi e la vita condivisa con loro, occupano un posto determinante, tanto da essere considerati come la tappa iniziale della sua conversione. Secondo il Testamento sembra quasi che nella memoria di Francesco quell’esperienza avesse preso il posto dell’incontro con il Crocifisso di San Damiano; l’esser cioè passato da un incontro con un Crocifisso dipinto su una tavola di legno ad un Crocifisso “vivo”, “in carne ed ossa”. San Bonaventura ci tramanda che Francesco, prima della conversione “aborriva non solo la compagnia dei lebbrosi, ma perfino il vederli da lontano. Dopo, a causa di Cristo crocifisso che, secondo le parole del profeta, ha assunto l’aspetto spregevole di un lebbroso, li serviva con umiltà e gentilezza, nell’intento di raggiungere il pieno disprezzo di se stesso. Visitava spesso le case dei lebbrosi; elargiva loro generosamente l’elemosina e con grande compassione ed affetto baciava loro le mani e il volto’.


 


Grazie alle norme previste dagli Statuti comunali per i lebbrosi in Assisi nel Medioevo, siamo a conoscenza di come potessero presentarsi al cospetto della gente, e - dunque - dello stesso Francesco.  Gli ammalati di lebbra erano chiusi nelle loro cappe e tuniche di gattinello, stanati dai loro rifugi, inseguiti a gran corsa dai custodi del Podestà. Addirittura coloro che assistevano i lebbrosi negli ospedali, avevano il diritto di girare armati, tanta era la paura che incutevano.  


 


San Francesco, da quel famoso episodio decise per i suoi “discepoli” che si  dedicassero a questo servizio, con umiltà e amore: l’incontro con questi “appestati” era l’incontro con Cristo. L’immaginazione moderna corre a un’altra figura del secolo scorso che visse profondamente questa missione: Santa Teresa di Calcutta. Ma ritorniamo nell’Assisi medievale, ritorniamo al “nostro” frate Francesco. Tanta era la sua attenzione a loro, a “Il Signore dette a me, frate Francesco, di incominciare a fare penitenza così: quando ero nei peccati mi sembrava cosa troppo amara vedere i lebbrosi e il Signore stesso mi condusse tra loro e usai con essi misericordia. E allontanandomi da essi, ciò che mi sembrava amaro mi fu cambiato in dolcezza d’animo e di corpo. E di poi, stetti un poco e uscii dal mondo”. Così recita il Testamento di san Francesco. Con queste parole, il frate di Assisi racconta la sua conversione, il suo avvicinamento a Dio, grazie al contatto con i lebbrosi. Cum-tacto, sostantivo importante per ogni cristiano: contatto, stare vicino, dunque. Con il corpo. E’ importante soffermarsi su come proprio grazie al “contatto” coi lebbrosi, il Poverello d’Assisi decida di cambiare radicalmente la propria vita. Ci viene in aiuto la Parola per approfondire il termine: Gesù per salvare “tocca” il malato. Non è un mago, non ha bacchetta magica di nessuna sorta. Questa corporeità presente nella Scrittura, la ritroviamo in frate Francesco che si immerge nei luoghi della sofferenza per prenderne parte. 


 


La chiesetta romanica di Santa Maria Maddalena - in origine probabilmente denominata di San Lazzaro - si trova a circa un chilometro di distanza dal santuario del Sacro Tugurio di Rivotorto, lungo la strada che conduce a Santa Maria degli Angeli. Questo luogo, la chiesetta romanica di Maria Maddalena, viene considerata dai più (con la chiesa di San Rufino in Arce) il luogo destinato in Assisi, al tempo di San Francesco, come ospedale principale dei lebbrosi. Molti sono gli elementi che portano a stabilire che quello sia stato il luogo non solo del primo incontro di san Francesco con il lebbroso ma anche il luogo della sua scelta di vivere con i lebbrosi, come ci testimoniano san Bonaventura e altre Fonti francescane. 


 


Questo episodio che si potrebbe definire l’ “incipit” della sua missione - così forte, così profondo - è un evento che rimarrà nella memoria del santo, per sempre: l’abbraccio al lebbroso, il porsi al servizio dei lebbrosi e la vita condivisa con loro, occupano un posto determinante, tanto da essere considerati come la tappa iniziale della sua conversione. Secondo il Testamento sembra quasi che nella memoria di Francesco quell’esperienza avesse preso il posto dell’incontro con il Crocifisso di San Damiano; l’esser cioè passato da un incontro con un Crocifisso dipinto su una tavola di legno ad un Crocifisso “vivo”, “in carne ed ossa”. San Bonaventura ci tramanda che Francesco, prima della conversione “aborriva non solo la compagnia dei lebbrosi, ma perfino il vederli da lontano. Dopo, a causa di Cristo crocifisso che, secondo le parole del profeta, ha assunto l’aspetto spregevole di un lebbroso, li serviva con umiltà e gentilezza, nell’intento di raggiungere il pieno disprezzo di se stesso. Visitava spesso le case dei lebbrosi; elargiva loro generosamente l’elemosina e con grande compassione ed affetto baciava loro le mani e il volto’.


 


Grazie alle norme previste dagli Statuti comunali per i lebbrosi in Assisi nel Medioevo, siamo a conoscenza di come potessero presentarsi al cospetto della gente, e - dunque - dello stesso Francesco.  Gli ammalati di lebbra erano chiusi nelle loro cappe e tuniche di gattinello, stanati dai loro rifugi, inseguiti a gran corsa dai custodi del Podestà. Addirittura coloro che assistevano i lebbrosi negli ospedali, avevano il diritto di girare armati, tanta era la paura che incutevano.  


 


San Francesco, da quel famoso episodio decise per i suoi “discepoli” che si  dedicassero a questo servizio, con umiltà e amore: l’incontro con questi “appestati” era l’incontro con Cristo. L’immaginazione moderna corre a un’altra figura del secolo scorso che visse profondamente questa missione: Santa Teresa di Calcutta. Ma ritorniamo nell’Assisi medievale, ritorniamo al “nostro” frate Francesco. Tanta era la sua attenzione a loro, a questi sofferenti, che il Sereafico padre chiedeva perfino ai nobili o alle persone di cagionevole salute che si presentavano per essere ammessi all’Ordine, di svolgere la propria missione in mezzo ai lebbrosi. Nella Regola ordinava anzi, che in caso di evidente necessità, i frati potessero raccogliere elemosine (fatto del tutto eccezionale, visto il voto di povertà) solamente per i lebbrosi.   questi sofferenti, che il Sereafico padre chiedeva perfino ai nobili o alle persone di cagionevole salute che si presentavano per essere ammessi all’Ordine, di svolgere la propria missione in mezzo ai lebbrosi. Nella Regola ordinava anzi, che in caso di evidente necessità, i frati potessero raccogliere elemosine (fatto del tutto eccezionale, visto il voto di povertà) solamente per i lebbrosi.    corporeità presente nella Scrittura, la ritroviamo in frate Francesco che si immerge nei luoghi della sofferenza per prenderne parte. 

 

La chiesetta romanica di Santa Maria Maddalena - in origine probabilmente denominata di San Lazzaro - si trova a circa un chilometro di distanza dal santuario del Sacro Tugurio di Rivotorto, lungo la strada che conduce a Santa Maria degli Angeli. Questo luogo, la chiesetta romanica di Maria Maddalena, viene considerata dai più (con la chiesa di San Rufino in Arce) il luogo destinato in Assisi, al tempo di San Francesco, come ospedale principale dei lebbrosi. Molti sono gli elementi che portano a stabilire che quello sia stato il luogo non solo del primo incontro di san Francesco con il lebbroso ma anche il luogo della sua scelta di vivere con i lebbrosi, come ci testimoniano san Bonaventura e altre Fonti francescane. 

 

Questo episodio che si potrebbe definire l’ “incipit” della sua missione - così forte, così profondo - è un evento che rimarrà nella memoria del santo, per sempre: l’abbraccio al lebbroso, il porsi al servizio dei lebbrosi e la vita condivisa con loro, occupano un posto determinante, tanto da essere considerati come la tappa iniziale della sua conversione. Secondo il Testamento sembra quasi che nella memoria di Francesco quell’esperienza avesse preso il posto dell’incontro con il Crocifisso di San Damiano; l’esser cioè passato da un incontro con un Crocifisso dipinto su una tavola di legno ad un Crocifisso “vivo”, “in carne ed ossa”. San Bonaventura ci tramanda che Francesco, prima della conversione “aborriva non solo la compagnia dei lebbrosi, ma perfino il vederli da lontano. Dopo, a causa di Cristo crocifisso che, secondo le parole del profeta, ha assunto l’aspetto spregevole di un lebbroso, li serviva con umiltà e gentilezza, nell’intento di raggiungere il pieno disprezzo di se stesso. Visitava spesso le case dei lebbrosi; elargiva loro generosamente l’elemosina e con grande compassione ed affetto baciava loro le mani e il volto’.

 

Grazie alle norme previste dagli Statuti comunali per i lebbrosi in Assisi nel Medioevo, siamo a conoscenza di come potessero presentarsi al cospetto della gente, e - dunque - dello stesso Francesco.  Gli ammalati di lebbra erano chiusi nelle loro cappe e tuniche di gattinello, stanati dai loro rifugi, inseguiti a gran corsa dai custodi del Podestà. Addirittura coloro che assistevano i lebbrosi negli ospedali, avevano il diritto di girare armati, tanta era la paura che incutevano.  

 

San Francesco, da quel famoso episodio decise per i suoi “discepoli” che si  dedicassero a questo servizio, con umiltà e amore: l’incontro con questi “appestati” era l’incontro con Cristo. L’immaginazione moderna corre a un’altra figura del secolo scorso che visse profondamente questa missione: Santa Teresa di Calcutta. Ma ritorniamo nell’Assisi medievale, ritorniamo al “nostro” frate Francesco. Tanta era la sua attenzione a loro, a questi sofferenti, che il Sereafico padre chiedeva perfino ai nobili o alle persone “Il Signore dette a me, frate Francesco, di incominciare a fare penitenza così: quando ero nei peccati mi sembrava cosa troppo amara vedere i lebbrosi e il Signore stesso mi condusse tra loro e usai con essi misericordia. E allontanandomi da essi, ciò che mi sembrava amaro mi fu cambiato in dolcezza d’animo e di corpo. E di poi, stetti un poco e uscii dal mondo”. Così recita il Testamento di san Francesco. Con queste parole, il frate di Assisi racconta la sua conversione, il suo avvicinamento a Dio, grazie al contatto con i lebbrosi. Cum-tacto, sostantivo importante per ogni cristiano: contatto, stare vicino, dunque. Con il corpo. E’ importante soffermarsi su come proprio grazie al “contatto” coi lebbrosi, il Poverello d’Assisi decida di cambiare radicalmente la propria vita. Ci viene in aiuto la Parola per approfondire il termine: Gesù per salvare “tocca” il malato. Non è un mago, non ha bacchetta magica di nessuna sorta. Questa corporeità presente nella Scrittura, la ritroviamo in frate Francesco che si immerge nei luoghi della sofferenza per prenderne parte. 


 


La chiesetta romanica di Santa Maria Maddalena - in origine probabilmente denominata di San Lazzaro - si trova a circa un chilometro di distanza dal santuario del Sacro Tugurio di Rivotorto, lungo la strada che conduce a Santa Maria degli Angeli. Questo luogo, la chiesetta romanica di Maria Maddalena, viene considerata dai più (con la chiesa di San Rufino in Arce) il luogo destinato in Assisi, al tempo di San Francesco, come ospedale principale dei lebbrosi. Molti sono gli elementi che portano a stabilire che quello sia stato il luogo non solo del primo incontro di san Francesco con il lebbroso ma anche il luogo della sua scelta di vivere con i lebbrosi, come ci testimoniano san Bonaventura e altre Fonti francescane. 


 


Questo episodio che si potrebbe definire l’ “incipit” della sua missione - così forte, così profondo - è un evento che rimarrà nella memoria del santo, per sempre: l’abbraccio al lebbroso, il porsi al servizio dei lebbrosi e la vita condivisa con loro, occupano un posto determinante, tanto da essere considerati come la tappa iniziale della sua conversione. Secondo il Testamento sembra quasi che nella memoria di Francesco quell’esperienza avesse preso il posto dell’incontro con il Crocifisso di San Damiano; l’esser cioè passato da un incontro con un Crocifisso dipinto su una tavola di legno ad un Crocifisso “vivo”, “in carne ed ossa”. San Bonaventura ci tramanda che Francesco, prima della conversione “aborriva non solo la compagnia dei lebbrosi, ma perfino il vederli da lontano. Dopo, a causa di Cristo crocifisso che, secondo le parole del profeta, ha assunto l’aspetto spregevole di un lebbroso, li serviva con umiltà e gentilezza, nell’intento di raggiungere il pieno disprezzo di se stesso. Visitava spesso le case dei lebbrosi; elargiva loro generosamente l’elemosina e con grande compassione ed affetto baciava loro le mani e il volto’.


 


Grazie alle norme previste dagli Statuti comunali per i lebbrosi in Assisi nel Medioevo, siamo a conoscenza di come potessero presentarsi al cospetto della gente, e - dunque - dello stesso Francesco.  Gli ammalati di lebbra erano chiusi nelle loro cappe e tuniche di gattinello, stanati dai loro rifugi, inseguiti a gran corsa dai custodi del Podestà. Addirittura coloro che assistevano i lebbrosi negli ospedali, avevano il diritto di girare armati, tanta era la paura che incutevano.  


 


San Francesco, da quel famoso episodio decise per i suoi “discepoli” che si  dedicassero a questo servizio, con umiltà e amore: l’incontro con questi “appestati” era l’incontro con Cristo. L’immaginazione moderna corre a un’altra figura del secolo scorso che visse profondamente questa missione: Santa Teresa di Calcutta. Ma ritorniamo nell’Assisi medievale, ritorniamo al “nostro” frate Francesco. Tanta era la sua attenzione a loro, a questi sofferenti, che il Sereafico padre chiedeva perfino ai nobili o alle persone di cagionevole salute che si presentavano per essere ammessi all’Ordine, di svolgere la propria missione in mezzo ai lebbrosi. Nella Regola ordinava anzi, che in caso di evidente necessità, i frati potessero raccogliere elemosine (fatto del tutto eccezionale, visto il voto di povertà) solamente per i lebbrosi.   di cagionevole salute che si presentavano per essere ammessi all’Ordine, di svolgere la propria missione in mezzo ai lebbrosi. Nella Regola ordinava anzi, che in caso di evidente necessità, i frati potessero raccogliere elemosine (fatto del tutto eccezionale, visto il voto di povertà) solamente per i lebbrosi.   





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