L’Aquila: la città delle acque

 di Giuseppe Lalli



L’Aquila, capoluogo dell’Abruzzo, è da sempre la città dove l’acqua è di casa.

Forse non tutti sanno che il nome stesso, ‘Aquila’, a dispetto di una diffusa voce che vuole che provenga dal celebre uccello rapace simbolo imperiale del presunto fondatore, Federico II, deriva da “aquola”, che altro non è che il diminutivo della parola ‘acqua’.

Non a caso L’Aquila, un tempo ‘Aquila degli Abruzzi’ (l’articolo è stato apposto dopo), è la città della fontana delle novantanove cannelle (secondo la leggenda, novantanove come le piazze, le fontane, i rioni che la compongono e i castelli che la fondarono), monumento che la rappresenta in tutte le guide turistiche e che in questi caldi giorni d’estate, nonostante l’emergenza sanitaria, anzi forse proprio a motivo della forzata clausura dei mesi passati, ha fatto registrare una grande affluenza di turisti.

L’Aquila è una “città di fondazione”, nata per il concorso dei castelli disseminati sul suo attuale territorio; castelli i cui abitanti, pur continuando a vivere, nella stragrande maggioranza, nei villaggi di provenienza, vollero lasciare all’interno delle mura cittadine un quartiere che, con una piazza, una fontana e una chiesa, perpetuasse la memoria del borgo fondatore.

La città, come è noto, risale al XIII secolo, allorché, volendo dare unità civica ai tanti castelli, i feudatari imperiali della zona, in lotta contro Federico II di Svevia(1194-1250) decisero di accogliere la proposta di papa Gregorio IX(al secolo Ugolino dei Conti di Segni, papa dal 1227 al 1241), di creare un nuovo insediamento «ad locum Acculae», vale a dire nei pressi dell’abitato di Acculae, un piccolo centro ai piedi del versante settentrionale dell’attuale Monteluco, luogo assai ricco di acque poco distante dal sito oggi occupato dalla Fontana delle novantanove cannelle.

La nuova città sorse a partire dal 1254. Appena cinque anni dopo, Manfredi (1232-1266), figlio di Federico II e di Bianca Lancia (incerti i dati anagrafici) la distrusse, in quanto città di parte guelfa, cioè legata al papa.

Giova ricordare che dal secolo XII era iniziata la nota contrapposizione tra il “partito” dei guelfi e quello dei ghibellini. I guelfi, sostenitori, al contrario dei ghibellini, della supremazia del papa nei confronti dell’imperatore, prendevano il nome da Welf, capostipite del casato dei duchi di Baviera, in lotta contro gli Svevi del casato di Hohenstaufen, (da cui era uscito Federico Barbarossa, nonno di Federico II), che dal nome di un loro castello in Franconia si denominavano signori di Waibling, (da qui il termine italianizzato di ‘ghibellini’).

La città fu riedificata da Carlo d’Angiò (1226-1285) unendo i due feudi di Amiternum e di Forconia. Da allora L’Aquila divenne sempre più grande e sempre più ricca, a motivo delle sue industrie della seta, dei merletti, della lana, del cuoio e dello zafferano.

Questo notevole sviluppo economico fece da sfondo ai molti monumenti di prestigio che sorsero entro le mura cittadine o poco discosti da esse, quali le chiese di San Silvestro, del Duomo e di San Bernardino, il castello cinquecentesco e, sopra tutti, la magnifica basilica di Santa Maria di Collemaggio. Quest’ultima, con la sua meravigliosa facciata ricca di tre portali e tre rosoni e tappezzata di pietre rosa e bianche secondo una sapiente geometria, con il suo interno luminoso e mistico, è da considerare il tempio più rappresentativo di tutta l’architettura abruzzese.

Fu edificata anche per volontà di quel Pietro da Morrone (1209/10-1296) che vi sarà incoronato papa nel 1294 con il nome di Celestino Ve che volendo legare in eterno il suo destino a quella che considerava la sua città, sapendola dilaniata dalle lotte intestine, le volle concedere quella Bolla della Perdonanza che ebbe valore universale di pace e di perdono.

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