Storie e Leggende

La capacità di stare radicato al suolo e sentire le proprie radici, mi darà la possibilità di colpire senza distruggere, e di liberare le mani per poter apprendere e creare"
La frase appena riportata credo renda molto bene l'importanza di non dimenticare da dove veniamo, chi siamo e dove ci troviamo ad operare, per dare il giusto senso alle nostre azioni e alla nostra vita. (L'armonia del cambiamento, R. Aldemaro Barbaro - D. Borricelli, pag. 35.
Segue una riflessione sulla importanza di mantenere la "memoria collettiva attraverso storie e leggende. Premessa di Ivana F. 



STORIE E LEGGENDE di Giuseppe Lalli




La bella rubrica dedicata alle storie di santi e alle tradizioni religiose popolari della nostra regione (commovente ho trovata quella della “Madonna pellegrina” in auge ad Assergi, e chissà in quanti altri villaggi abruzzesi, nel secolo scorso) che Mimina Faccia ha iniziato a curare su questo sito, mi stimola a riflettere sull’importanza e la bellezza di mantenere viva la memoria collettiva di una terra, in questo caso l’Abruzzo. La nostra Italia è da considerarsi tra le nazioni più ricche di questi piccoli e grandi tesori della memoria. Questo si deve, come è facilmente intuibile, alla sua storia politica (l’unità nazionale è avvenuta assai tardi) e alla sua stessa geografia, fatta di montagne altissime e pianure estese, di foreste inospitali e di vie di comunicazione scarse ed impervie. Per non parlare dei tanti popoli e delle tante etnie che hanno abitato la nostra penisola. Questa articolazione storica e territoriale spesso si ripete all’interno di una stessa regione: si parlava di Puglie (la Daunia, la Messapia, la terra d’Otranto; di Calabrie, di Sicilie (la Sicilia Occidentale, la Sicilia Orientale), si parlava di Abruzzi (Abruzzo Citeriore e Abruzzo Ulteriore).

Ciascuna regione e ciascuna terra ha avuto storie e leggende che hanno cercato di mettere in rilievo, spesso esaltandole, peculiarità proprie di etnie e di culture specifiche. Questa straordinaria varietà si riflette nei dialetti. Basti pensare che in Italia questi ultimi sono molti di più degli oltre ottomila comuni che la compongono. Come se non bastasse, le nostre parlate sono molte e molto diverse anche nell’ambito di uno stesso territorio. Non è vero quello che spesso si ripete, e cioè che i dialetti nel nostro Paese vanno scomparendo. Si tratta, al contrario, di una realtà ancora assai viva, ad alimentare una ricchezza culturale che non ha pari nel nostro continente, ciò che ci carica di una certa responsabilità.

Perdere la memoria delle proprie radici è un lusso che non ci possiamo permettere, giacché equivarrebbe a perdere una identità, e con ciò un punto di riferimento, vale a dire una piccola ma importante bussola di orientamento nell’interpretazione della realtà sociale in cui viviamo. Ben vengano allora queste iniziative tese a conservare espressioni idiomatiche e a tener vivo il ricordo di antiche tradizioni comunitarie. In tanta varietà di storie e leggende, la nostra regione, che non corrisponde necessariamente ai confini amministrativi che si sono imposti nel tempo (Abruzzo e Molise hanno ancora molto in comune) la religione è un forte fattore unificante. Le leggende ispirate dalla fede cristiana sono molte. In esse spesso gli elementi fantastici convivono con fatti storici, e i miracoli si mescolano con eventi naturali, così come antiche credenze pagane resistono nella tradizione cristiana. La ricostruzione storica deve pertanto essere pronta a discernere le une cose dalle altre. Questo bisogno si avverte in maniera particolare quando si esaminano le biografie dei tanti santi protettori di cui è disseminato il territorio abruzzese. Ciò non toglie che il bisogno di credere che si riscontra nelle generazioni che ci hanno preceduto è esso stesso un fatto, da tener presente nell’analisi e nel giudizio. Non va poi dimenticato che molte delle leggende di cui si parla hanno ispirato opere letterarie di caratura nazionale. Basti pensare alle Novelle della Pescara o alla Figlia di Iorio di dannunziana memoria, o anche a una novella poemetto come La bella di Camarda di Emidio Cappelli. opera ottocentesca che, benché non conosciuta fuori dei confini regionali, presenta non pochi spunti manzoniani e leopardiani. In fondo, siamo sempre più o meno figli dei tempi, e, ancor più, figli dei luoghi. Ne facciamo esperienza ogni giorno. E questa è, tutto sommato, una realtà confortante. Le radici sono fatte per rassicurare.




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