Omelia tenuta da Mons. Orlando Antonini il 5 giugno 2020, in occasione dell'Ottocentenario di San Franco


 


5 giugno 2020, Ottocentenario di S. Franco - Assergi

La Santa Messa solenne del cinque giugno nella chiesa "Santa Maria Assunta" è stata celebrata da Sua Eccellenza Mons. Orlando Antonini, Nunzio Apostolico, insieme a Padre Carmine o.f.m., Ezenyimulu Don Titus Parroco di Arischia, Don Ennio Raimondi che è stato ad Assergi nell'anno del terremoto, Don ManLa Santa Messa solenne del cinque giugno nella chiesa "Santa Maria Assunta" è stata celebrata da Sua Eccellenza Mons. Orlando Antonini, Nunzio Apostolico, insieme a Padre Carmine o.f.m., Ezenyimulu Don Titus Parroco di Arischia, Don Ennio Raimondi che è stato ad Assergi nell'anno del terremoto, Don Manuel Cepeda Parroco di Assergi.
Suggestiva la cerimonia di celebrazione in un'atmosfera di raccoglimento e in una chiesa opportunamente addobbata per l'occasione dal parroco e predisposta per il distanziamento sociale come da norme antiCovid.
Per tutta la giornata numerosi devoti e turisti, da vari paesi e zone, ma anche assergesi, hanno visitato la chiesa e pregato il Santo Protettore.uel Cepeda Parroco di Assergi.
Suggestiva la cerimonia di celebrazione in un'atmosfera di raccoglimento e in una chiesa opportunamente addobbata per l'occasione dal parroco e predisposta per il distanziamento sociale come da norme antiCovid.
Per tutta la giornata numerosi devoti e turisti, da vari paesi e zone, ma anche assergesi, hanno visitato la chiesa e pregato il Santo Protettore.

Sua Eccellenza Mons. Antonini ci ha fatto un ulteriore eccezionale dono, consegnandoci il testo, che segue, della "Omelia" da lui tenuta, la quale riteniamo di stimolo per una riflessione spirituale su San Franco e per una interpretazione più approfondita di questo personaggio religioso, vissuto tra XII e XIII secolo, ma, anche, così attuale.

Omelia

FESTA DI S. FRANCO

(Assergi, 5.6.2020) 

Carissimi fratelli, per la festa diocesana di S. Franco, a voi specialmente tanto cara, la mia riflessione spirituale si focalizza su un aspetto particolare del nostro Santo. Sul fatto cioè che S. Franco era di famiglia benestante, agiata. I suoi, quindi, più che semplici pastori erano proprietari armentari, dunque di classe sociale media o medio-alta considerati i proventi che potevano loro provenire dalla commercializzazione della lana. Ciò suscita un interrogativo nei cristiani di oggi, tanto sensibili ad una Chiesa dei poveri e dei semplici.

per la Festa di San Franco. sia stato di aiuto alla vostra riflessione spirituale su S. FrancoLa Sacra Scrittura attesta che la ricchezza e il benessere per sé sono un bene, un dono, una benedizione di Dio, segno del suo favore. Solo che i beni materiali non sono da considerare come il meglio dei beni: la pace dell’anima piuttosto, la buona fama, la salute, la giustizia e, soprattutto, la sapienza, sono le vere perle preziose di gran lunga da preferire. «L’uomo nella prosperità non comprende, dice il salmo 49,13, è come gli animali che periscono». Di qui l’avvertimento di Gesù: «È più facile che un cammello passi per la cruna di un ago che un ricco entri nel regno dei cieli» (Mt. 19,23). Però, ripeto, in sé le ricchezze non sono un male. Il salmo 61,11 avverte solamente: «Alla ricchezza, anche se abbonda, non attaccate il cuore».

Ecco il punto: è l’attaccamento al denaro che è male, non il denaro in sé. «L’attaccamento al denaro – dice S. Paolo – è la radice di tutti i mali; per il suo sfrenato desiderio alcuni hanno deviato dalla fede e si sono da sé stessi tormentati con molti dolori» (1 Tim. 6,10).

Se così è, perché allora proprio il Signore, che «nasconde le sue cose ai grandi e ai sapienti e le rivela ai piccoli», che «rovescia i potenti dai troni e innalza gli umili», che proclama ‘beati’ i poveri in spirito e che «volge il suo sguardo sugli umili della terra» – sono tutte espressioni bibliche – quasi contraddicendosi, ha voluto pescare quello che doveva diventare S. Franco proprio in una categoria economicamente favorita? Di tali casi ve ne sono molti. Dio ha scelto molti suoi grandi santi tra i ricchi, e nelle famiglie potenti o comunque agiate. Non esiste una statistica al riguardo; ma è ben noto come già in antico buona parte dei grandi uomini di Dio, patriarchi, profeti, sacerdoti, persone carismatiche-chiave della storia della salvezza, e poi nel cristianesimo i propagatori della fede, i grandi organizzatori delle Chiese, i numerosi iniziatori delle esperienze monastiche ed eremitiche sia in Oriente che in Occidente, i grandi fondatori di ordini e congregazioni religiose come S. Benedetto e S. Francesco, provengano da una estrazione economico-sociale elevata.

Facciamo un esempio. Lo scrittore francese Langlois ha studiato lo status sociale delle sante fondatrici di congregazioni religiose femminili nel XIX secolo in Francia. Può valere anche per l’Italia e, fatte le proporzioni, anche per l’Abruzzo del tempo di S. Franco. Ebbene, secondo questo studio il peso delle classi dominanti e ricche della società sul numero percentuale delle fondatrici di congregazioni religiose si vede superare di gran lunga quello delle classi subalterne. Forse una specie di ‘classismo’, anche e proprio da parte di Dio?

Il fatto è che lo status sociale determinava la possibilità stessa di diventare fondatrice e di procedere nell’iniziativa con un minimo di successo. Ciò perché in primo luogo l’origine sociale rendeva possibile l’accesso a un certo livello culturale, questo sia per poter leggere le opere di pietà come per intrattenere la normale necessaria corrispondenza d’uso, e, in particolare, per assimilare quella certa educazione, quel certo tratto, quella ‘cultura’ socio-religiosa che si acquisisce appunto attraverso la famiglia, oltre che, poi, anche nel convento ... In secondo luogo e più prosaicamente, il disporre di capitali personali, o almeno la possibilità di mobilitarli grazie alle relazioni sociali permesse dalla reputazione familiare, facilitò le fondazioni sia per il loro nascere che per il loro consolidamento. In terzo luogo lo status sociale della fondatrice era importante per la congregazione quando giungeva il momento di farsi riconoscere non più dal pubblico ma anche dalle autorità religiose e civili: vescovi, governo, ecc. infine, l’origine sociale alta della fondatrice si ripercuoteva sulla stessa vita della nuova congregazione. La fondatrice, infatti, trovava nella sua stessa famiglia, nella sua cerchia, quelle pratiche sociali suscettibili di essere riprodotte all’interno della sua comunità.

Insomma, come si vede, il fenomeno del ‘reclutamento’ da parte di Dio di santi preferentemente tra le categorie economico-sociali elevate della società ha motivazioni del tutto strumentali: da una parte Dio ispira principi di giustizia sociale in vista di diminuire per quanto possibile la povertà nel mondo – la dottrina sociale della Chiesa… – e nel frattempo ricorre a una sorta di metodo ‘Robin Hood’, si serve cioè dei ricchi per raggiungere i suoi scopi benefici a favore della società. Da parte loro, quelli che Lui presceglie tra le categorie sociali elevate, lungi dall’avvalersi delle prerogative familiari di nascita, censo e cultura, divengono beati solo nella misura in cui esercitano i talenti materiali e spirituali ricevuti da Dio conformemente alla regola paolina: cioè a vantaggio non proprio, ma della comunità, in funzione dell’utilità comune. Infatti quando Dio appella un individuo da un ceto sociale agiato e da una famiglia ricca, si producono senza eccezione due risultati. A volte, come Benedetto da Norcia, Francesco d’Assisi e il nostro S. Franco, il chiamato arriva a rinunciare a tutti i beni perché Dio lo ha ispirato con la parola del Vangelo di oggi: «Qual vantaggio avrà l’uomo se guadagnerà il mondo intero, e poi perderà la propria anima?». Altre volte il chiamato da Dio arriva non a rinunciare ma ad utilizzare i suoi beni a beneficio del prossimo quasi che Dio ne abbia permesso l’accumulo, da parte di alcuni, per poi farli distribuire a quelli che sono impossibilitati a provvedersi da soli.

S. Franco scelse la prima alternativa: portato da Dio a trovare più gioia nel suo amore di quanto la cupidigia ne trovi nell’oro, rinunciò a tutti i suoi beni prima entrando nel monastero di S. Giovanni di Lucoli e, dopo venti anni, ritirandosi completamente dal mondo e dandosi alla penitenza, alla ricerca continua dell’unico necessario e alla preghiera incessante, munito dell’armatura di Dio come abbiamo sentito nella prima lettura, resistendo alle insidie del diavolo e restando in piedi dopo aver superato tutte le prove.

Ma perché farsi eremita? Isolarsi dal consorzio umano non potrebbe significare misantropia? E come un eremita senza prossimo - perché isolato - può osservare il comandamento dell’amore del prossimo? Il dilemma fu presente agli inizi stessi del monachesimo, nei primi secoli cristiani, e nomi come S. Basilio, Teodoreto di Ciro, S. Girolamo ed altri, sull’esempio stesso di Cristo che non abbracciò la vita dell’eremita, dichiaravano di preferire la forma comunitaria di monachesimo. La Chiesa però ha ammesso le due forme di monachesimo, quella isolata e quella comunitaria, in quanto, dice Simeone il Nuovo Teologo, «in ogni condizione in cui uno vive, qualunque opera o attività uno faccia, è la vita vissuta per Dio e secondo Dio ad essere degna della massima beatitudine». Sono i perfetti, cioè coloro che si sono purificati da ogni vizio, a poter aspirare alla vita eremitica; sicché, affermava S. Saba, come il fiore precede il frutto, così la vita comunitaria precede la vita eremitica. È proprio la storia di S. Franco. Praticata prima la vita cenobitica a Lucoli per ben vent’anni, rifiutò l’elezione ad Abate – oltre alla santità possedeva quindi anche doti di discernimento e di governo – e divenne eremita, in un primo tempo tra i boschi lucolani e infine sulle rocciose impervie montagne del Gran Sasso. Orbene, la storia mostra che tutti gli eremiti, per la loro vita santa, attiravano folle e folle di fedeli, in pratica non erano mai soli; e più loro, come S. Franco, si ritiravano in luoghi più alti e impervi per restare soli con Dio, più attiravano moltitudini di pellegrini. Inoltre, l’essere più vicini a Dio li rendeva più caritatevoli verso il prossimo che li cercava. Dio infatti, essendo Amore per essenza, rendeva l’eremita più simile a lui, ossia pieno di carità e di compassione verso i fedeli, specialmente i più bisognosi. Ecco la ragione dei molti miracoli attribuiti ai santi eremiti, compreso S. Franco di cui, tra gli altri miracoli, quello del bambino salvato dal lupo è il più celebre: perché essi, accesi di amore da Dio, sviluppano una particolare sensibilità verso il prossimo in pericolo, indigente o malato. E pregano per tutto il mondo abitato: questa è la loro più grande prova di amicizia e di amore per l’umanità.

Carissimi, non siamo tutti chiamati a vivere come S. Franco, ma sì a vivere per Dio e secondo Dio nella condizione in cui viviamo. E dato che egli per essere infiammato di amore di Dio fu di conseguenza infiammato di amore del prossimo, profittiamo pure di ricorrere a S. Franco in ogni nostra necessità, sanitaria, economica, psicologica, ma soprattutto spirituale. Adesso specialmente che l’umanesimo secolare ‘autosufficiente’, come pure la scelta moderna di fare a meno del contributo del cristianesimo, stanno rivelando la loro intrinseca debolezza. Continuiamo a rivolgerci a lui con le parole della preghiera composta da Don Demetrio nel 1955:




O San Franco d’Assergi,

eroico Eremita del Gran Sasso!

Tu lasciasti tutto, nel mondo, per ritrovare tutto in Dio.

Ti allontanasti dagli uomini per avvicinarti al Signore.

Rinunciasti alla terra per acquistare il Cielo.

Sulle cime dei monti, immensi altari della natura,

offristi al Creatore l’omaggio della tua vita innocente e penitente:

pura come il cielo,

vergine come l’acqua che sgorgò, per tua preghiera, dalla roccia;

dura come i denti del lupo che ammansisti,

difficile come i dirupi impervi che praticasti.




Oh, la bellezza della tua vita solitaria, nascosta con Cristo in Dio!




O caro Santo,

noi siamo ancora troppo legati alla terra.

Ottienici dal Signore il distacco dalle cose,

e avviaci per il sentiero delle vette dello spirito.

Fà che non abbiamo paura di salire.

Salire di virtù in virtù.

Dacci coraggio.

Tu fosti uno scalatore!

Tu sei una guida!

Facci trovare le fresche sorgenti della Grazia, che sono i Sacramenti:

con Cristo nell’anima raggiungeremo la mèta del Cielo.

Verremo con te: vedremo il Signore: godremo per sempre! Amen.

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